di Stefano Ceccanti
E’ il momento di assumere un’iniziativa seria e tempestiva di tutti coloro che cercano soluzioni e che non si alimentano di benaltrismo
Si è finalmente aperta, in connessione a un’indagine giudiziaria, una discussione stringente sul sistema di elezione della componente togata del Csm. La novità non è nel sostantivo, la discussione, ma nell’aggettivo, stringente. Non a caso, solo per restare ad anni recenti, il ministro Orlando aveva creato nella scorsa legislatura una commissione ad hoc per questa riforma, ma si potrebbe risalire ad esempio a vari decenni fa, ad iniziative abrogative dei radicali, purtroppo ritenute inammissibili. Il problema è quindi annoso e la sua importanza prescinde dagli esiti dell’indagine giudiziaria in corso.
Prima di entrare nel merito sono però necessari tre avvertimenti che incidono sul contenuto.
L’autonomia della politica
Il primo è sull’autonomia della politica. Sarebbe bene che anche stavolta, e in generale in nessun caso, venissero però prese per oro colato, come sentenze definitive di un giudice terzo, atti parziali usciti dalle procure, ossia da una parte, e pubblicate, spesso con dei copia e incolla da organi di stampa, alcuni dei quali avvezzi ad uno selettivo di questi atti contro avversari politici. Lo avrebbe spiegato benissimo come sempre faceva una persona che tanto ci manca in queste mattine, Massimo Bordin, dalle onde di una Radio ancora in pericolo per le tendenze illiberali presenti nella maggioranza.
Per una forza riformista, che cerca soluzioni e non capri espiatori, le indagini devono fare il loro corso e nel frattempo i problemi vanno risolti autonomamente.
L’intreccio con altre riforme costituzionali
Il secondo è sull’intreccio con possibili riforme costituzionali che è un problema reale, ma che non va usato in chiave benaltrista. Personalmente ritengo non solo doverosa la separazione delle carriere tra chi accusa e chi giudica, e conseguentemente anche la creazione di due distinti Csm, ma la ritengo anche una conseguenza logica di un’altra riforma costituzionale, quella dell’articolo 111 sul giusto processo, fortemente voluta anche dal centrosinistra a cui lavorò intensamente tra gli altri il deputato, già magistrato e avvocato Antonio Soda scomparso qualche anno fa, che mi ha insegnato molto in quest’ambito. Questo dibattito, però, che dovremo fare nel Pd con grande libertà e apertura, non può essere un alibi oggi. Il superamento del sistema vigente con legge ordinaria si può adottare subito nel Csm unico e si può poi trasporre, nel caso, nei due separati.
Attenti alle false soluzioni
Il terzo è sull’attenzione da prestare alle false soluzioni, prima fra tutte il sorteggio. A prescindere dai seri dubbi di costituzionalità nell’adottare un sistema del genere per organi rappresentativi che appassionano i cultori della materia, una scelta del genere delegittima del tutto la magistratura, ritenuta incapace di scegliere meglio del caso i propri rappresentanti. Il sistema va liberato da rigide logiche correntizie, ma senza delegittimare la magistratura come tale.
Una selezione fondata sul collegio uninominale
Veniamo quindi al merito. Ho ripresentato in questa legislatura due testi simili fondati sul collegio uninominale, con alcune differenze tecniche che qui tralascio, identici a quelli presentati dieci fa in Senato, dopo uno scambio di idee con costituzionalisti e operatori del settore.
L’attuale sistema proporzionale su base nazionale irrigidisce le correnti nazionali e, sommato col voto di preferenza dentro di esse, rende gli eletti dipendenti da uno spicchio di consenso che cerca di condizionarli in presa diretta.
L’unico modo per sganciare il più possibile gli eletti da logiche associative opprimenti è quello di scegliere un sistema di selezione basato sulla persona e tarato su una base territoriale che garantisce la conoscenza del candidato e delle sue qualità da parte dei suoi potenziali elettori. Questo profilo coincide con un sistema elettorale basato su collegi uninominali.
L’obiezione classica che si fa a questo strumento è di cadere in logiche micro-territoriali, ma in questo caso la critica non funziona a causa del numero relativamente basso dei collegi: uno per magistrati che esercitano le funzioni di legittimità presso la Corte suprema di cassazione e la Procura generale presso la stessa Corte; quattro per i magistrati che esercitano le funzioni di pubblico ministero presso gli uffici di merito e presso la Direzione nazionale antimafia; undici per magistrati che esercitano le funzioni di giudice presso gli uffici di merito, ovvero che sono destinati alla Corte suprema di cassazione impedisce una frammentazione localistica.
E’ quindi il momento di assumere una iniziativa seria e tempestiva di tutti coloro che non cercano capri espiatori ma soluzioni, che non si alimentano di benaltrismo e che credono in strumenti nuovi che non delegittimano la magistratura nel suo insieme.
Vicepresidente di Libertà Eguale e Professore di diritto costituzionale comparato all’Università La Sapienza di Roma. È stato Senatore (dal 2008 al 2013) e poi Deputato (dal 2018 al 2022) del Partito Democratico. Già presidente nazionale della Fuci, si è occupato di forme di governo e libertà religiosa. Tra i suoi ultimi libri: “La transizione è (quasi) finita. Come risolvere nel 2016 i problemi aperti 70 anni prima” (2016). È il curatore del volume di John Courtney Murray, “Noi crediamo in queste verità. Riflessioni sul ‘principio americano'” , Morcelliana 2021.