di Laura Landolfi
In un paese come l’Italia che ne è la culla, la cultura può essere un’importante veicolo per la creazione di lavoro e un mezzo fondamentale per contrastare l’ondata populista -fatta di disinformazione, inconsapevolezza e, per dirla tutta, di superficialità- con un proposta che si basi su conoscenza e competenze. Per questo bisogna puntare più che mai sugli strumenti culturali che da sempre ci appartengono. Perché, ricordiamocelo, il vero capitale dell’Italia è la cultura.
Un settore che si tiene ancora a galla vivendo di rendita grazie al suo patrimonio artistico, che troppo spesso diventa una zavorra. Insomma la cultura in Italia vuol dire passato mentre manca una visione o meglio dire, un piano, per il futuro.
La sinistra deve tornare ad avere una visione strategica per quel che concerne la produzione, diffusione e ricezione della cultura sul lungo periodo. Ma un compito, senz’altro arduo, ce l’hanno anche i mass media troppo occupati a correre dietro al fenomeno populista per recuperare la loro funzione, diciamolo senza vergogna, educativa. Se vogliamo più sviluppo economico, e occupazione, bisogna saper valorizzare, sfruttare fino in fondo la risorsa della cultura, intesa in tutte le sue accezioni, e del patrimonio storico-artistico.
Insomma, per farla breve, con la cultura si può mangiare eccome!
Ma per farlo bisogna ricominciare a parlare di cultura nelle scuole, sui giornali, nelle trasmissioni televisive infestate dai talk show sempre uguali a se stessi; e parlarne serve a far capire quanto sia importante, soprattutto in questo particolare momento storico, ragionare non sulla paura ma sulla bellezza. Far sì che la cultura smetta di essere considerata un fanalino di coda, un’attività per nullafacenti, è una precisa responsabilità di politici ed intellettuali che hanno abdicato al loro compito.
I beni culturali
Per quel che riguarda le misure economiche, un importante passo è già stato fatto, dal governo Renzi, con l’introduzione dell’art bonus (Legge 83/2014 “Disposizioni urgenti per la tutela del patrimonio culturale, lo sviluppo della cultura e il rilancio del turismo“ reso poi permanente con la legge di stabilità del 2016 ) che consente un credito di imposta, pari al 65% dell’importo donato, a chi effettua erogazioni liberali a sostegno del patrimonio culturale pubblico italiano.
Gli interventi possono essere di tre tipi: manutenzione protezione e restauro di un bene culturale pubblico; donazioni a luoghi e istituti della cultura pubblici, fondazioni lirico sinfoniche, teatri di tradizione e altri enti dello spettacolo; potenziamento e restauro di strutture, enti e istituzioni culturali pubbliche. Un punto fondamentale è proprio questa complementarità pubblico/privato.
E per creare le condizioni per una reale complementarità non devono mancare provvedimenti legislativi a sostegno di quest’ultimo attraverso un sistema di sgravi fiscali. Mentre mecenati potrebbero essere coinvolti offrendo loro di partecipare alla governance dei musei dove hanno scelto di investire a lungo termine.
-Serve un’azione di coordinamento tra istituzioni (ministro dei Beni Culturali con quello dello Sviluppo, del Welfare, della Istruzione e ricerca e degli Esteri)
-Serve una sinergia con il settore del turismo, con le istituzioni e gli enti locali perché se mancano i turisti mancano anche i visitatori dei musei
– In un paese che possiede 53 siti Unesco, 4158 musei, 282 parchi archeologici e 536 monumenti serve reintrodurre l’insegnamento della Storia dell’Arte cancellata di fatto dalla riforma Gelmini.
Ma rivitalizzare la nostra identità culturale vuol dire puntare anche su una rivitalizzazione economica dei singoli settori.
Lo spettacolo dal vivo
Il teatro, martoriato da anni di tagli, cattive gestioni e confinato nel limbo della attività per esponenti di un’élite, resiste in realtà nel tempo. Non a caso il numero di spettatori e biglietti venduti rimane stabile, se non in crescita, negli anni. Ma per non affossare questo patrimonio invidiato e copiato in tutto il mondo (si pensi alla Commedia dell’Arte rubataci dai francesi) è necessario un intervento sui parametri di assegnazione del Fus-fondo unico per lo spettacolo- ovvero il fondo che interessa compagnie e sale teatrali. Risale a poco tempo fa lo scandalo che ha vista coinvolta una sala storica come il Teatro Eliseo che si era accaparrata, pare in maniera poco lecita, 8 milioni di euro del Fondo; un’enormità viste le esigue risorse del Fondo sceso ormai a 333.941.798 euro.
Sempre per quel che riguarda il Fus, i DM 2014 e 2017 hanno creato una “triennalità” (la predisposizione e la valutazione di progetti triennali), che ha consentito una rottura delle rendite di posizione. Tuttavia le modalità di assegnazione dei fondi regolate attraverso “algoritmi”, vanno rivisti: le commissioni incaricate hanno azzerato, di fatto, centinaia d’imprese storiche e di riconosciuto valore, creando un danno occupazionale per migliaia di lavoratori fra artisti e tecnici. L’accesso ai contributi ministeriali in favore delle imprese dello spettacolo è sottoposto a un preventivo giudizio di “qualità” che si basa su giudizi espressi mediante valori numerici, cosa impensabile in un settore artistico. Il blocco poi degli incrementi di triennio in triennio di una stessa realtà ( comma del “Decreto di riparto fondo unico per lo spettacolo anno finanziario 2018” del 28 febbraio 2018) al 5% ne impedisce la possibile evoluzione progettuale, e peraltro una soglia di sbarramento al 7% era stata già prevista nel 2016 e 2017 ma all’interno del triennio.
Il sistema audiovisivo
L’Italia è la patria del cinema d’autore e della commedia, alle nostro pellicole si sono ispirati i più grandi registi e sceneggiatori del mondo eppure il nostro patrimonio cinematografico non viene salvaguardato come, ad esempio, avviene da tempo in Francia.
Le fonti principali che caratterizzano il sistema di finanziamento del cinema francese sono:
-i sistemi d’incentivo fiscale (credito d’imposta e Sofica );
-il fondo di sostegno del Centre National de la Cinématographie e i fondi regionali; il contributo delle reti televisive allo sviluppo della produzione nazionale ed europea. Uno dei principali canali di incentivo fiscale è rappresentato dalle società di finanziamento dell’industria cinematografica e audiovisiva meglio conosciute con l’acronimo di Sofica che raccolgono fondi destinati a finanziare opere cinematografiche e audiovisive approvate dal Centre National de la Cinématographie. I privati che sottoscrivono una “Sofica”, la cui durata è decennale, possono beneficiare di una deduzione fiscale dal reddito netto imponibile mentre le società azioniste di un ammortamento particolare. L’assegnazione del finanziamento è successivo allo studio del progetto da parte della Sofica che, entro il limite del 20 per cento del finanziamento annuale, può sostenere opere europee mentre il resto deve essere destinato esclusivamente a produzioni originali francesi. A fronte dell’investimento effettuato, le “Sofica” ricevono una parte dei ricavi per lo sfruttamento futuro dell’opera.
Quattro sono oggi le tasse che garantiscono il sostentamento del cinema francese e, implicitamente, lo stato di salute del settore e del suo indotto. La tassa sul prezzo del posto in sala pari al 10,9 per cento del prezzo del biglietto, quella sulle televisioni pari a un prelievo del 5 per cento sull’incasso delle reti televisive (fatturato, pubblicità, canone e abbonamenti), quella su video e dvd pari al 2 per cento del prezzo al dettaglio per il pubblico e la tassa sul Vod, vale a dire Internet, pari al 2 per cento.
Un modello cui ispirarsi: la Francia
Questa digressione per dire come possano essere di ispirazione altri modelli europei e la loro attenzione per il sistema cinematografico.
Il modello francese non si limita a una questione economica ma, con Macron, tocca i diversi settori della cultura, sponsorizzando e diffondendo le eccellenze francesi.
Non dimentichiamo che il premier francese appena insediatosi volle svolgere il congresso con le due camere riunite a Versailles.
Un segnale forte di come la cultura sia il punto di riferimento per le nuove classi dirigenti e le nuove leve della politica in Francia e come potrebbe esserlo anche per la creazione di un’adeguata classe politica nel nostro paese (si pensi solo al fatto che Gramsci nasce come critico teatrale dell’Avanti).
Se il governo giallo-verde promette ulteriori tagli a destra e a manca come mazzata finale a un settore, in particolare quello dei libri, già moribondo, la sinistra deve riprendere in mano una battaglia che è sempre stata il suo segno distintivo.