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Decreto Salvini: senza integrazione non c’è sicurezza

Mina Zingariello martedì 25 Settembre 2018
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di Mina Zingariello

 

Il decreto sicurezza di Salvini è stato approvato all’unanimità dal Consiglio dei Ministri (leghisti e grillini). Tra le alte cose, il decreto toglie fondi allo SPRAR a favore dei centri emergenziali che detengono grandi gruppi di persone in pochi centri in Italia, nei quali le organizzazioni del terzo settore non hanno accesso. Sono centri di mera detenzione che non hanno come obiettivo l’integrazione o l’educazione.

Quello che trovo più curioso in questo decreto è proprio questo: che dice di voler portare sicurezza in Italia indebolendo il sistema SPRAR.

Vediamo se è vero.

 

Come nasce la rete SPRAR

Lo SPRAR nasce nel 2001 grazie a un protocollo di intesa tra il Ministro degli Interni, l’Alto Commissariato per i Rifugiati (UNHCR), e l’Associazione Nazionale Comuni Italiani (ANCI).
La crisi dei balcani e le guerre in Yugoslavia assieme alla nuova lotta al terrorismo e gli interventi militari in Iraq e Afghanistan cambiano profondamente le dinamiche umane nel medio e vicino oriente ed Europa dell’Est, allargandosi velocemente anche ai Paesi del Nord-Africa.
L’Italia è tra i primi a subirne le conseguenze, e tra i Governi D’Alema e Amato decide di organizzarsi.

Erano gli anni di ascesa della Lega Nord, quelli del rinsaldato patto con Berlusconi e la Casa delle Libertà, il cui successo alle elezioni regionali del 2000 provocherà le dimissioni del Governo D’Alema II.

“L’emergenza immigrazione” viene sfruttata dai partiti di destra che la usano per creare paura e frustrazione.
In tutta risposta un gruppo di sindaci che non si arrendono all’intolleranza e che capiscono che governare significa gestire e non subire, decidono di creare un sistema che mette in rete le buone pratiche di integrazione esistenti sui territori, perché tutti possano imparare e prendere esempio.

Nasce così la rete SPRAR (Sistema di Protezione per Richiedenti Asilo e Rifugiati).

 

I principi fondamentali per l’integrazione

L’intuizione di partenza si fonda su 3 principi:
– L’integrazione è progressiva e diffusa e bisogna lasciare tempo al territorio per assorbirla. Vanno evitate grandi concentrazioni di stranieri in pochi posti, a favore di piccoli gruppi diffusi su tutto il territorio.
– L’integrazione è una responsabilità condivisa. Ci deve essere collaborazione tra Stato, sindaci e organizzazioni del terzo settore locali. Ognuno contribuisce per quello che sa, e per quello che deve.
– L’integrazione è un processo intenzionale, non avviene da solo. Ci devono essere progetti che puntino a integrare in modo esplicito, usando idee e innovazione dal tessuto locale e il terzo settore.

Il risultato è sorprendente: la rete viene istituzionalizzata e cresce anno dopo anno.
Un sistema di Help Desk permette ai sindaci di fare domande, imparare da altri comuni, prendere esempi e adattarli al proprio territorio. Le organizzazioni replicano idee e creano sinergie per progetti sempre più forti ed effettivi finanziati dall’Italia e dall’Unione Europea.

 

In Italia lo SPRAR funziona

Oggi un quarto dell’integrazione italiana è gestita dallo SPRAR, che sostiene oltre 800 progetti su 1.200 comuni per oltre 35 mila posti, inclusi per minori non accompagnati o orfani.

Alcuni progetti includono:
– gestione di orti urbani i cui prodotti vanno alle famiglie bisognose sul territorio
– organizzazione di corsi di inglese per vigili urbani e polizia con l’aiuto di rifugiati madre lingua inglese
– Laboratori di giornalismo per formare giovani giornalisti rifugiati e dare spazio a narrative e punti di vista differenti

Ecco, lo SPRAR in Italia funziona benissimo. Così bene che nel 2015 la Commissione Europea ha deciso di mandare osservatori per studiarlo e copiarlo in altri Paesi.

Per questo persone come Salvini – che vincono solo se i cittadini pensano di essere sotto invasione – lo vogliono distruggere.

Dire che si combatte l’insicurezza indebolendo lo SPRAR è come dire che si vuole combattere la fame nel mondo abolendo il cibo. Non è solo sbagliato o stupido; è criminale.

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