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Democatici Usa, per tornare a vincere serve il “centrismo combattivo”

Alessandro Maran domenica 30 Marzo 2025
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di Alessandro Maran

 

Le elezioni hanno conseguenze, scrive Francesco Costa nella sua ultima newsletter. “I Democratici sono stati appena cacciati in malo modo dalla Casa Bianca, hanno perso la possibilità di dettare l’agenda: è Trump che decide di cosa si parla ogni giorno, e loro sono costretti a inseguire. E a litigare su come inseguire. Ma le litigate sono un pezzo del percorso”. Anche perché, spiega, “la politica in America la fanno gli eletti, e i partiti attraverso gli eletti: quindi la discussione è pubblica e collettiva, e partecipa chiunque voglia farlo, da solo o organizzandosi; la partita si gioca sul piano della persuasione e la conta si fa col voto. Non ci sono direttivi, segretari, comitati: quelli che ci sono appoggiano le attività degli eletti. La linea che si dimostra più forte collegio per collegio, primaria per primaria, elezione per elezione, diventa nei fatti la linea del partito. Chiaramente nessuna squadra vince mai dieci a zero, è sempre una scala” (https://www.ilpost.it/newsletter-da-costa-a-costa/).
Come riferisce Lauren Gambino del Guardian, durante un comizio a Tempe, in Arizona, le icone dell’ala sinistra democratica, il senatore Bernie Sanders e la deputata Alexandria Ocasio-Cortez, hanno criticato duramente il presidente Donald Trump ed Elon Musk, accusandoli di “imbrogliare” gli americani della classe operaia e di quella media. Ma hanno anche mosso una dura critica al Partito democratico. “Non si tratta solo dei repubblicani. Abbiamo bisogno di un partito democratico che combatta più duramente anche per noi”, ha detto Ocasio-Cortez, ricevendo alcuni degli applausi più forti e prolungati dell’evento (https://www.theguardian.com/…/bernie-sanders-aoc…).
La capacità di mobilitazione della corrente più radicale del Partito Democratico non è una novità, scrive Costa, “e Sanders e AOC non stanno proponendo qualcosa di politicamente nuovo, né stanno parlando ad americani a cui non parlavano già prima. Ma in questo momento sono gli unici che hanno davvero qualcosa da dire, perché non hanno paura di dire le stesse cose di sempre. E sono gli unici a dare rappresentanza alla rabbia e al desiderio di azione di un pezzo dell’elettorato progressista, anche soltanto di qualcosa che gli somigli. La loro retorica, poi, funziona decisamente di più all’opposizione che al governo”. Senza contare che, prosegue il vicedirettore del Post, “su alcune cose Sanders e AOC hanno sicuramente annusato l’aria prima degli altri, anche prima di molti loro sostenitori: l’idea che la classe stesse iniziando a pesare più dell’etnia nella formazione delle opinioni degli americani, la fuga dal partito della classe operaia, la necessità di parlare ai giovani uomini anche chiudendo un occhio sull’ultima circolare woke. Su altre questioni invece hanno contribuito ad allontanare il partito dalle opinioni degli americani”.
Nella sua newsletter Noahpinion, il commentatore politico ed economico Noah Smith sostiene che i democratici dovrebbero “moderarsi e combattere” (“Dems need to moderate and fight”), spiegando che “non c’è contraddizione”. Anche perché è già successo. A metà degli anni 2000 il Partito Democratico, spiega Noah Smith, dovette ricostituirsi dopo che il presidente George W. Bush vinse due elezioni di seguito. Ora deve fare lo stesso, e il malessere economico crescente offre una finestra di opportunità, poiché i dazi di Trump (e le minacce tariffarie) sembrano esacerbare le preoccupazioni economiche degli americani. Smith vede nel “centrismo combattivo” la migliore risposta che possono offrire i democratici (https://www.noahpinion.blog/…/dems-need-to-moderate-and…). Di che si tratta?
“In questo momento – scrive Noah Smith – sono seduto in Giappone, a parlare con il mio amico canadese Tim di politica americana. Stiamo parlando di come un presidente repubblicano che ha appena ottenuto una vittoria elettorale risicata ma solida stia usando il suo mandato discutibile per fare cose folli in politica estera e revocare le libertà civili degli americani, che potrebbe anche usarlo per smantellare la previdenza sociale e le cui politiche potrebbero finire per affondare l’economia degli Stati Uniti. Vent’anni fa, stavo facendo esattamente la stessa cosa. Quella volta, il presidente repubblicano di cui Tim e io stavamo parlando era George W. Bush. Due anni dopo quella conversazione, i democratici avevano bloccato il tentativo di Bush di privatizzare la previdenza sociale e ripreso il controllo del Congresso. Quattro anni dopo, un democratico conquistava la presidenza e cominciava a porre fine alla guerra in Iraq, a rimettere l’economia su una base grosso modo solida e a ripristinare in parte la reputazione internazionale danneggiata dell’America”.
Come ci sono riusciti? In parte, spiega Noah Smith, semplicemente grazie al fatto che “Bush ha commesso così tanti errori su così tanti fronti, che alla fine gli americani si sono stufati del suo brand”. Ma anche “perché i democratici hanno saputo sfruttare le opportunità che i fallimenti di Bush offrivano loro. Hanno sostenuto il liberalismo del XX secolo: la politica estera stabilizzatrice del periodo precedente al 2001, le libertà civili, il sistema di assicurazione sociale del New Deal e l’economia statunitense essenzialmente capitalista.
Non risposero alla follia dell’era Bush scatenando la loro follia. Fu una resistenza liberale di centro-sinistra, del New Deal, e ottenne un successo strepitoso. In questo momento, i democratici stanno sviluppando un grande dibattito interno su come resistere a Donald Trump. I tassi di approvazione di Trump stanno già iniziando a peggiorare, mentre gli americani vedono la devastazione economica provocata dai suoi dazi. L’economia è probabilmente il motore principale di questa svolta. Ma gli americani sono anche amareggiati dalla politica estera di Trump, che intimidisce l’Ucraina e si avvicina alla Russia”.
“È tragico che l’America abbia dovuto eleggere Trump per rendersi conto dei pericoli della sua ideologia isolazionista”, scrive il giornalista americano. “Ma questa consapevolezza potrebbe dare ai Democratici l’opportunità di reagire, come hanno fatto con successo contro Bush. C’è solo un grosso problema in questo. A differenza di due decenni fa, il brand dei Democratici è stato gravemente offuscato. Un recente sondaggio della CNN ha rilevato che il gradimento dei Democratici è sceso al 29% tra il pubblico americano. In un recente focus group del Michigan, la maggior parte degli elettori di Trump ha provato un po’ di rimorso del compratore, ma solo uno su 13 ha detto che vorrebbe tornare indietro e votare per Harris. Le persone stanno rapidamente perdendo la fiducia in Trump, ma finora i Democratici sembrano incapaci di approfittarne”.
“Cosa ancora più frustrante, sembrano esserci due motivi diversi per cui le persone sono arrabbiate con i Democratici”. Da un lato, scrive Noah Smith, “le persone sembrano volere che i Democratici siano più moderati” e dall’altro “la gente vuole chiaramente che i democratici si oppongano a Trump e combattano più duramente per impedirgli di fare qualsiasi cosa stia facendo”. Difatti, questi due desideri – che i democratici si spostino al centro e che i democratici combattano più duramente contro Trump – sembrano coesistere l’uno accanto all’altro. Patrick Ruffini lo ha definito “centrismo combattivo”.
“A molti progressisti, sembrerà una contraddizione. Combattere Trump più duramente, nella loro mente, significa sostenere con più forza le cause progressiste: diritti trans, DEI, depolicing e un atteggiamento più permissivo nei confronti dei richiedenti asilo. Scendere a compromessi su queste idee, per definizione, significherebbe adattarsi o compromettersi con Trump… giusto? Il difetto di questo pensiero è che le questioni a cui tengono di più gli americani – le cose su cui vogliono che i democratici combattano più duramente Trump – non sono necessariamente le stesse cose a cui tengono gli attivisti progressisti. Gli assi ‘moderato contro progressista’ e ‘lotta rispetto a compromesso’ semplicemente non combaciano. Quali sono gli argomenti sui quali la maggior parte degli americani vorrebbe che i democratici combattessero più duramente Trump? Uno ovvio è l’economia. In una recente intervista con Eric Levitz, che, tra l’altro, consiglio di leggere per intero (https://www.vox.com/…/tik-tok-young-voters-2024…, lo scienziato dei dati politici David Shor ha mostrato un grafico tratto da un sondaggio condotto a febbraio, sui temi su cui gli elettori si fidavano dei democratici rispetto ai repubblicani”.
“È da notare – continua Noah Smith – che i temi che gli elettori affermano essere più importanti per loro e quelli su cui si fidano di più dei repubblicani sono gli stessi: economia, costo della vita e inflazione. Gli elettori tengono molto alle questioni economiche, in particolare a quelle relative al costo della vita, e fino a poco tempo fa credevano che Trump e il GOP li avrebbero soddisfatti meglio su quel fronte. In un’altra recente intervista con Ezra Klein (che consiglio di leggere per intero: https://www.nytimes.com/…/ezra-klein-podcast-david-shor…), Shor dimostra che le preoccupazioni economiche fondamentalmente superano tutto il resto per gli elettori”.
Per il blogger e giornalista americano dunque, il “centrismo combattivo” è più di una tattica politica; si basa su valori profondamente radicati. È l’idea che i principi fondamentali del liberalismo del XX secolo – libertà di parola, giusto processo, democrazia e così via – siano cose buone e preziose che vale la pena difendere da regimi come quello di Donald Trump. Quella è stata la solida piattaforma che ha permesso ai democratici di tenere i piedi ben piantati per terra e rovesciare il bushismo negli anni 2000; è una piattaforma altrettanto forte oggi”.

Da leggere.

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