Affiora diffusamente l’auspicio che dalla pandemia il mondo esca con un ritorno a una economia “a chilometro zero” o poco più: non c’è consapevolezza del disastro che conseguirebbe a un simile balzo indietro di cent’anni
In questi giorni, che speriamo essere i più bui della pandemia da Covid-19, affiora da diverse parti l’auspicio che tra breve il mondo ne riemerga avvertito e vaccinato contro i danni prodotti dal modello incauto di sviluppo perseguito fin qui.
Che il mondo si impegni, quindi, a perseguire un modello economico più rispettoso dell’ambiente (fin qui condivido pienamente l’auspicio) e più “a misura d’uomo”, dove la “misura d’uomo” viene intesa come una drastica riduzione del raggio degli spostamenti usuali delle persone e delle cose.
Insomma, se non proprio un’economia a “chilometro zero”, a “chilometro cinquecento”: non di più. E qui non riesco a condividere l’auspicio.
Anzi, proprio un rattrappimento permanente degli scambi internazionali è ciò che del nostro futuro prossimo mi preoccupa di più.
Quando l’emergenza sanitaria di oggi sarà stata superata, il coronavirus non sarà stato certo eradicato dal mondo: anche perché non si possono sopprimere tutti i pipistrelli, suoi probabili primi portatori.
La preoccupazione di un possibile ritorno di questa epidemia, o di un’altra analoga, rischia sì di produrre il ritorno a un’economia autarchica, per non pensare addirittura al modello dell’economia curtense medievale.
Ma sarebbe un balzo all’indietro catastrofico. Le auto, gli aerei, le navi, i treni, gli elettrodomestici, le macchine utensili, i computer, i telefonini, tutto dovrebbe tornare a essere prodotto solo con componenti reperibili “in zona”.
Anche a non voler considerare il tempo necessario per una simile ristrutturazione, l’esito di tutto questo sarebbe un drammatico impoverimento del mondo intero.
Ci costa molto meno un investimento colossale – attuabile solo su dimensioni continentali, se non planetarie – per il potenziamento delle strutture sanitarie e della ricerca sui germi patogeni, oltre che sulla difesa dell’ambiente, che dopo questa brusca interruzione consenta di puntare a una globalizzazione anche più spinta di prima, ma meno fragile e più sicura.
(Pubblicato su www.pietroichino.it)
Già senatore del Partito democratico e membro della Commissione Lavoro, fa parte della presidenza di Libertàeguale. Ordinario di Diritto del lavoro all’Università statale di Milano, già dirigente sindacale della Cgil, ha diretto la Rivista italiana di diritto del lavoro e collabora con il Corriere della Sera. Twitter: @PietroIchino