di Giovanni Cominelli
Il governo Meloni è entrato in carica il 22 ottobre 2022. Alla stessa data entrava” in carica” l’opposizione. Due anni sono un lasso di tempo sufficiente per tentare un bilancio dell’azione di governo e di quella dell’opposizione.
Il governo Meloni si muove su sentieri stretti: i mercati finanziari, lo spread, l’Unione europea, gli impegni internazionali, le alleanze… Sta in galleggiamento.
I migranti continuano ad arrivare e a disperdersi irregolari nel Paese, finendo molti di loro in preda alla criminalità e, spesso, nelle carceri. L’afflusso non è tuttora governato. Il debito pubblico?
Nel mese di agosto ha raggiunto, secondo la Banca d’Italia, il nuovo massimo storico di 2.962 miliardi, essendo aumentato nel solo mese di agosto di 12 miliardi.
E l’Unione europea? Meloni ci ha dovuto fare i conti, non fosse altro che per la pioggia dal cielo della manna del PNRR, mai caduta così copiosa su nessun governo precedente.
Il sovranismo “addomesticato”
Il sovranismo iniziale, di cui Salvini continua ad essere l’avventuroso corifeo, è stato addomesticato in un gaullismo d’antan.
E le elezioni americane? Meloni tifa discretamente per Trump, Salvini più sguaiatamente. Dimentichi i meschini che, se vincesse Trump, le piccole sovranità europee sarebbero brutalmente ridotte al rango di coppiere al banchetto dei Grandi.
Quanto alla politica istituzionale, relativa al premierato e all’autonomia differenziata, le lacerazioni interne alla maggioranza e l’ottusa opposizione delle opposizioni stanno rallentando l’iter fino alla paralisi.
L’ideologia del DPF – Dio, Patria, Famiglia – non riesce a diventare programma di governo. Né si vede come lo potrebbe. Dio è fuori controllo e anche chi parla a suo nome – la Chiesa.
La Patria è concretamente Stato-Nazione con Nord, Centro, Sud e Isole, è Amministrazione statale, Regioni, Comuni: è una Repubblica. La Patria è collocazione internazionale nell’Europa e nel mondo, non è un atollo nell’Oceano.
Bassa occupazione femminile e bassa natalità
Quanto alla Famiglia, un miliardo di euro previsto dalla Legge di Bilancio a favore della natalità per l’anno a venire è solo un lampo nel buio della denatalità, se non aumenta l’occupazione femminile anche per le madri.
Bassa occupazione femminile e bassa natalità sono legate: le donne che lavorano non fanno figli, quelle che li fanno smettono di lavorare. Secondo il demografo Alessandro Rosina, l’Italia è oggi il paese con il tasso più basso di persone sotto i trent’anni in Europa: il 25%. All’indomani della seconda guerra mondiale le persone sotto i trent’anni nel Paese erano il 50% della popolazione.
Servirebbero politiche di lunga gittata. Per fare le quali occorrerebbe una coesione nazionale che non c’è, che si dovrebbe costruire su un patriottismo comune, pre-ideologico e pre-partitico.
La politica ideologica di Fratelli d’Italia che accusa non più i comunisti – questo lo faceva Berlusconi – ma la sinistra di essere antipatriottica e di non difendere i confini non favorisce la costruzione di un “idem sentire” nazionale.
L’aventinismo mentale delle opposizioni
Né, d’altronde, contribuiscono alla coesione nazionale le ricorrenti accuse della sinistra, che attribuiscono al governo conati di neofascismo e ricorrenti tentazioni dell’olio di ricino.
Quanto alle opposizioni, il bilancio è presto fatto: non sono mai veramente “entrate in carica”. Hanno praticato fin da subito un aventinismo mentale, in forza del quale l’opposizione si fa nelle piazze, mentre il Parlamento è ridotto a esercizio del diritto di tribuna per fare la propaganda, che alimenta il movimento delle piazze.
L’idea-guida è che stare all’opposizione significhi accumulare indefinitamente forze da scagliare quotidianamente contro il governo in carica, avendo la massima cura di sostenere sempre il contrario di quanto dice e fa il governo.
Non è un’idea originale. Ripropongono specularmente i comportamenti delle attuali forze di governo, quando si trovavano all’opposizione.
Così, sul piano dei contenuti di programma alternativi a quelli del governo, in realtà si fa opposizione ideologica.
Clamoroso il caso del 4+2 proposto dal Ministro dell’Istruzione e del Merito Giuseppe Valditara, previsto dal DdL di riforma dell’istruzione tecnico-professionale, approvato il 31 luglio scorso.
Esso introduce il modello della filiera tecnologico-professionale, che salda la formazione tecnica e professionale con due anni di ITS. È il tentativo di integrare saperi e lavoro e di dare dignità culturale al lavoro.
Connessione più stretta tra istruzione e produzione
Soprattutto, cerca di connettere il sistema dell’istruzione con la produzione. Compito del sistema di istruzione non è solo quello di garantire equità, ma anche di sviluppare le forze produttive.
Questa riforma, che è stata un’antica ispirazione della sinistra comunista e cattolica – fin dalla Commissione Gemelli del 1945 – oggi viene contestata da un’ideologia che ha sostituito allo sviluppo delle forze produttive quello dell’espansione indefinita dei diritti, al primato della produzione quello della distribuzione.
Così il lavoro finisce per equivalere a sfruttamento. Donde la richiesta referendaria di abolire il Jobs Act. Per quanto concerne la politica delle istituzioni, è in atto da un paio d’anni una regressione totale: il premierato sconfinerebbe nella democrazia illiberale, l’autonomia differenziata sarebbe la fine dello Stato unitario.
I fatti non contano, prevale l’ideologia
Tutto clamorosamente enfiato e falso. Ma, appunto, la realtà/verità non conta. Ciò che è importante è raccogliere tutti i rivoli di opposizione, di scontento, di rabbia e di corporazione non per costruire un’opposizione di governo, ma per rovesciare il governo.
E dopo? Mentre la Destra, una volta rinchiusa nei vincoli del governare, ha incominciato a malincuore, un po’ spinte e un po’ sponte, a fare i conti con la realtà, questa non sembra essere il punto di riferimento delle opposizioni. Che sono talmente frammentati che è diventato impossibile contenerli tutti in un solo recinto, quello del “campo largo”.
Più il campo è largo e più il programma di governo dovrebbe essere unitario e cogente. Così non è e non sarà. Così, un governo che galleggia e un’opposizione senza timone stanno sottoproducendo una silenziosa crisi di sistema.
Il bipolarismo italiano e l’alternanza dell’opposizione
Il bipolarismo all’italiana è fondato non sull’ “alternanza di governo”, ma sull’ “alternanza di opposizione”. Questa cultura prevede che la maggioranza futura si accumuli con i “No a prescindere” a quanto dice/fa il governo in carica.
Questo modo di praticare “l’alternanza di opposizione” non è senza conseguenze sulla qualità del governo, quando ci si arrivi. Perché il governo diventa inevitabilmente “corporativo”, dovendo riempire troppe pance, cui erano state promesse leccornie in quantità.
Oppure delude rapidamente, perché molte promesse non si possono mantenere. Oppure resta paralizzato tra opposte domande.
Qual è la causa profonda di questa teoria e pratica del bipolarismo? Che la politica ha cessato di rivolgersi a tutti i cittadini, si rivolge a fazioni, a parti, a corporazioni di interessi. Perciò ha cessato anche di essere democratica.
È una politica di partiti divenuti sempre di più autocratici. Così ai cittadini la politica appare ormai come un ring da guardare, se si ha voglia, non più un’arena di discussioni e di deliberazioni. L’effetto? L’astensionismo incessantemente in crescita. Che non è colpa del maltempo.
Il voto “con i piedi”, che vanno in tutt’altra parte rispetto alle urne, è il vero voto anti-sistema, che apre dei vuoti sotto le strutture della democrazia rappresentativa.
Pubblicato su www.santalessandro.org il 29 Ottobre 2024
E’ stato consigliere comunale a Milano e consigliere regionale in Lombardia, responsabile scuola di Pci, Pds, Ds in Lombardia e membro della Commissione nazionale scuola, membro del Comitato tecnico scientifico dell’Invalsi e del CdA dell’Indire. Ha collaborato con Tempi, il Riformista, il Foglio, l’ Avvenire, Sole 24 Ore. Scrive su Nuova secondaria ed è editorialista politico di www.santalessandro.org, settimanale on line della Diocesi di Bergamo.
Ha scritto “La caduta del vento leggero”, Guerini 2008, “La scuola è finita…forse”, Guerini 2009, “Scuola: rompere il muro fra aula e vita”, BQ 2016 ed ha curato “Che fine ha fatto il ’68. Fu vera gloria?”, Guerini 2018.