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E se domani vincesse il NO? Contro il dolcetto postdemocristiano cucinato da Pd e 5s

Ranieri Bizzarri giovedì 10 Settembre 2020
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di Ranieri Bizzarri

 

C’è un che di Peter Bruegel il vecchio, e dei suoi meravigliosi scenari di allegra vita contadina fiamminga, nella birichina solerzia con cui tanti intellettuali e politici (anche su queste pagine) hanno fatto e fanno campagna per il Si a referendum.

Mi spiego meglio. Al netto di dotte disquisizioni, l’idea di fondo è chiarissima: gli italiani sono un popolo su cui il populismo ha un ascendente molto forte; meglio un po’ di populismo disattivato oggi, travestito da miniriforma (in cambio della vera futura riforma, quella elettorale proporzionale), che la eventuale brutalità del populismo salviniano e trumpiano. Insomma, si guarda con allegra condiscendenza alla smodatezza italica, e intanto si prepara la gabbia ai matti. Come narrazione di accompagnamento (la narrazione ci vuole), si propone un moderno riformismo pragmatico, del granellino di sabbia ogni giorno, del vedere costantemente il bicchiere mezzo pieno. Un riformismo che un politico della Margherita qualche anno fa sintetizzò mirabilmente alle mie orecchie: “mi occupo solo delle cose che posso cambiare”. Pensate se lo avesse consigliato a Steve Jobs. Jobs, un “benaltrista”.

C’è poco da ironizzare, caro Bizzarri. Lo scopo dei cavalieri buoni è nobile: volgere al bene la follia grillina e tenere in vita questo governo preparando la kriptonite antipopulista ed europeista, l’elezione di Draghi al Quirinale. Dopo, al solito, si vedrà. Forse la Provvidenza provvederà, di sicuro arriveranno gli Euro dall’Europa. La situazione è questa, punto. Potevamo finire come il Brasile di Bolsonaro, no? Basta con i sogni. Anche Lucio Battisti cantava: “…e potresti ripartire/certamente non volare/ma viaggiare”. Bruegel e Battisti, poeti del quotidiano sforzo del ripartire.

Molti cantori del NO sono invece accompagnati da un’atmosfera tetra. Ricordano alcuni quadri di El Greco. Il lato lugubre non è dovuto alla paura della fine della Costituzione, quella non ce l’ha nessuno. E’ che sono dei rompiscatole, fuori dal contesto, mai contenti. Si appellano ad idee inapplicabili come vocazione maggioritaria e sistema elettorale maggioritario. Talvolta cianciano di “visione politica”, invece di discutere amabilmente di un più dinamico e fattibile “programma”.

Alcuni di questi personaggi tetragoni covano persino diffidenza snobistica verso i populismi nostrani divenuti mansueti grazie ai nostri tecnocrati. Altri corvi si rifanno ad un’idea di Paese anglossassone esistita solo forse in alcuni libri di Sciascia o nelle intemerate di Ernesto Rossi. I più avvertiti non sopportano l’allegro giulebbe democristiano che è il vero obiettivo della disarticolazione populista di molti riformisti del SI. Il giulebbe sarà completo quando otterremo un Parlamento frazionato e proporzionale. Un Parlamento che, sotto i vigili occhi e abbondanti milioni dell’Europa, sarà gestito dalla migliore epistocrazia italica, prevalentemente composta da autorevoli esponenti del PD, partito di governo per antonomasia. I nostri politici pragmatici e competenti durerebbero quanto un gatto sulla statale Aurelia in un regime di voto maggioritario. Ma in un regime proporzionale diventano Highlanders.

Questi corvacci del NO, specie se arrivano dalle file democratiche, hanno pure il coraggio di indignarsi di fronte spettacolo degli ex-renziani ex-maggioritaristi che diventano proporzionalisti (dopo una sosta intermedia al Rosatellum). Loro, gli ex-maggioritaristi, lo fanno per necessità e -parola sublime- realismo.

Cari corvacci, come è possibile manifestare tanto benaltrismo di fronte a chi ci vuole salvare? Sarebbe come contrapporre al “riformista” ante-litteram Tycho Brahe, che voleva mettere d’accordo religione e scienza affermando che il sole gira intorno alla terra e i pianeti girano intorno al Sole, quel lugubre prete agostiniano di Copernico, con quella sua teoria eliocentrica dai valori non negoziabili. Ci sono! Cocteau avrebbe sostituito la parola “francesi” con “sostenitori del NO” nel suo immortale aforisma: “i francesi sono degli italiani di cattivo umore”.

Veniamo al coming out. Ammetto di far pienamente parte della razzaccia dei corvi del NO. Ammetto, da ex-socialista che rilegge spesso la lettera di addio alla vita di Sergio Moroni e non sopporta la delegittimazione delle Istituzioni a colpi di antipolitica, di non amare il dolcetto postdemocristiano che nuovo PD e 5S stanno cucinando insieme. Lo trovo sciapo, inutile, pallidamente andreottiano. Lo trovo un espediente da apprendisti stregoni che si disinteressa delle vere ragioni del populismo, convinto che tecnicismo, buongoverno alla emiliana e proporzionale bastino ad andare avanti. Un dolcetto che non lega nemmeno le scarpe alla migliore stagione della DC, partito-mamma della nazione, tanto è effimero e -dietro gli occhioni dolci dei futuri leader – spietatamente antiliberale. Per dire: Bernabei era democristiano, ma mescolava preti e le Kessler e la sua televisione produceva Sandokan e l’Odissea. Per non parlare della scenografia nuda e bellissima dei varietà più famosi di Antonello Falqui, al cui centro cantava Mina. Ma qua chi allieterà la massa mentre i saggi riformisti e grillini pensano a come spendere il “recovery fund”? Stato, Stato e ancora Stato. Eccolo il mondo ideale dei post-comunisti e dei post-democristiani di sinistra: guidare la macchina a suon di dobloni (europei) tacciando tutti gli altri di essere pericoli per la democrazia dediti ad una immoralità diffusa. Salutiamo allegramente il PD del lingotto e della riforma Renzi, il contesto è cambiato.

Ma, avendo vissuto 47 anni una vita da mediano tifando una squadra di provincia, vorrei (più per i miei figli che per me) per una volta vincere il campionato ed entrare appieno nel mondo occidentale liberale, non vivacchiare a centro classifica. Vorrei che non si dovesse ricorrere alla sociologia silenziosa per cui l’Italia è un paese incorreggibile (se non in tempi lunghissimi). Vorrei, insomma, una riforma luterana in un Paese cattolico. Ove questo non fosse possibile, mi accontenterei di un giulebbe post-democristiano in cui almeno canti Mina alla TV. Ecco, vedete? Sono richieste da incorreggibile benaltrista, un ragazzino che non cresce mai.

Votiamo tranquilli ed abbandoniamo le dispute. Se vince il SI non cambierà nulla, tranne un piccolo, insignificante particolare: inizierà una stagione nuova, in cui a sinistra si prende collettivamente atto che l’Italia è così, e più di questo non dà e non fa. Poco importa: ci attende un bel piano Marshall e tanti solerti pragmatici a gestirlo. Gli italiani alla fine capiranno quanto siamo bravi a sinistra. Forse.

E se domani, e sottolineo “se”…

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