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E se la Lega diventasse il partito del Sud?

Marco Campione sabato 25 Agosto 2018
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di Marco Campione

 

Reduce dalle vacanze in Calabria, ne torno con alcune sensazioni. Non hanno ovviamente la pretesa di rigore statistico, ma ho parlato con molte persone e la tendenza mi sembra generalizzata.

 

In estrema sintesi vedo quattro tendenze.

  1. Gli elettori dei 5s del 4 marzo (credo abbia sfiorato il 50% o qualcosa del genere) si stanno ricollocando. Molti tornano ad astenersi, moltissimi si stanno spostando sulla Lega.
  2. Tutti gli altri se devono votare un partito di opposizione scelgono per lo più Forza Italia.
  3. Il Pd è rappresentato da una classe dirigente percepita (non senza ragioni) come vecchia e compromessa.
  4. Infine, non trova al momento risposta la diffusa e trasversale voglia di “civismo” (che a quelle latitudini fa spesso rima con un meridionalismo; non quello assistenzialista, ma quello con profonde radici e ragioni, storiche e culturali).

 

Se queste dinamiche sono generalizzate in tutto il sud, la Lega dovrà certamente tenerne conto per la sua proposta politica che potrebbe in prospettiva “meridionalizzarsi”. La recente uscita del Ministro Bongiorno di assumere 450.000 impiegati statali ne è un esempio? Il recente annuncio del Ministro Bussetti di non fare concorsi ordinari ma spingere per assumere prima i “precari” (concentrati al sud) ne è una conferma? Si noti che entrambi i ministri citati sono in quota Lega, appunto.

Vedremo se ho ragione o se i miei sono solo bias cognitivi.

Se ho ragione, che cosa può fare il Pd? Si aprirebbero a mio avviso due praterie (più propriamente una prateria e un deserto da attraversare).

Al centronord si apre la prateria lasciata dalla meridionalizzazione della Lega. Una proposta autenticamente riformista e liberal avrebbe gioco facile a fare il pieno in quella parte del paese. E non è troppo difficile apparire credibili in quella proposta perché sarebbe in sostanziale continuità con le scelte del Pd “di governo”.

Al sud invece il cammino è un po’ meno automatico e lineare. Si tratta sostanzialmente di sostituire una classe dirigente squalificata e poco credibile (in qualche caso anche al di là dei demeriti personali dei singoli) e puntare proprio su quel “meridionalismo” non assistenzialista, che la sinistra meridionale ha già conosciuto nella sua storia. Una storia che andrebbe prima riscoperta e poi -ovviamente- attualizzata.

Resta sullo sfondo la domanda che ci siamo già fatti altre volte: qual è lo strumento organizzativo più efficace per portare avanti due linee in parte complementari? Due partiti diversi che si alleano per le elezioni politiche (sul modello tedesco CDU-CSU) o un partito unico ma autenticamente federale, dove le realtà regionali hanno una autonomia sostanziale nella scelta dei programmi, delle leadership e delle candidature?

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