di Vittorio Ferla
Con la solita enfasi trombonesca che caratterizza la nostra stampa, in molti hanno dipinto la vittoria di Marine Le Pen come un exploit incontenibile, glorificandola della probabile maggioranza assoluta. In realtà, con il 34 per cento – che poco non è – non c’è nessuna maggioranza assoluta. Ecco perché, nelle dichiarazioni immediatamente successive alle proiezioni, la leader del Rassemblement National si è guardata bene dal presentare la vittoria come acquisita.
Se fosse in Italia, con il suo 34 per cento Le Pen potrebbe a mala pena tentare di costruire un governicchio di coalizione con quei residuati bellici che sono i repubblicani e con qualche altro spezzone di estrema destra: poca roba e numeri risicati, onestamente, per tentare l’assalto alle compassate istituzioni di Bruxelles. Oppure potrebbe sperimentare l’impura unione dei bipopulismi di destra e di sinistra, simile a quella che ci inventammo noi, con la tipica guitteria italica, ai tempi tragicomici dei consoli Salvini-Di Maio, quelli che inventarono Giuseppe Conte statista (che solo a scriverlo viene da ridere). Invece no.
Per fortuna sua, Le Pen si trova in Francia, paese esagerato e tragico dove le libertà diventano terrore e le rivoluzioni si capovolgono in impero, e dove lei rischia di nuovo di perdere, restando illibata alle insidie del potere. Jean-Luc Mélenchon è un vecchio archibugio del marxismo francese, nel frattempo regredito ad islamista antisemita, che non potrebbe mai accettare di sacrificare l’ideologia per un’abbinata tanto impura.
Soprattutto, i francesi si sono dotati di una legge elettorale (fantastica, sia sempre benedetta) a doppio turno, che al primo giro ti fa votare per il preferito e, al secondo, per il meno peggio: meno male che in Italia l’abbiamo copiata almeno nei comuni. In questo modo – viva viva il ballottaggio! – c’è tempo una settimana per evitare di fare grosse sciocchezze.
Alla luce del risultato di domenica, la partita nei 577 collegi è apertissima. Per la legge elettorale francese, più alta è l’affluenza (come in questo caso), più è probabile che ben tre candidati possano presentarsi al secondo turno. Secondo i calcoli degli istituti di proiezioni, i collegi contendibili da ben tre diversi candidati potrebbero essere almeno 250, numero che si avvicina molto alla maggioranza assoluta. Situazione che porterà sicuramente alla definizione di accordi e ‘desistenze’.
Del resto, immediatamente dopo la diffusione delle proiezioni, è stato lo stesso Macron a chiedere agli altri concorrenti di fare ‘blocco’ contro il Rassemblement National. Così dopo la mossa azzardata dello scioglimento dell’Assemblea nazionale che aveva fatto storcere il naso a molti, il presidente ne propone un’altra, nient’affatto scontata. La più facile desistenza da pronosticare è certamente quella tra Ensemble, il partito di Macron, e Place Publique (PP), il partito neosocialista di Raphaël Glucksmann.
Ma questo accordo potrà avvenire soltanto in quei collegi in cui ci sono i candidati macronisti (che hanno evitato di presentarsi in 100 collegi su 577). Oppure in quei collegi dove sono candidati gli esponenti socialisti di PP i quali, nell’ambito degli accordi di coalizione con La France Insoumise si sono divisi nettamente i collegi. Fino a domenica, sembrava assai improbabile ipotizzare desistenze tra il partito del presidente e quello di Jean-Luc Mélenchon, leader di una forza populista eguale e contraria a Rn, screditato per le sue posizioni antisemite e pericoloso per le sue ricette economiche iperstataliste e burocratiche che contribuirebbero a far esplodere il debito pubblico francese esattamente come le ricette della destra lepenista. Domenica sera Mélenchon ha gioito pubblicamente per la sconfitta di Macron e della maggioranza uscente. E tuttavia ha assicurato che, nei collegi in cui il suo candidato si è piazzato terzo, France Insoumise è pronta a ritirarlo pur di togliere voti al Rassemblement National.
Quanto a Macron: non può dirlo pubblicamente, ma già sogna di imbrigliare l’insoumission di Mélenchon nelle moderate tenaglie sue e di Glucksmann. Per avere il quadro complessivo delle desistenze (che saranno decise a livello locale) e per fare delle previsioni fondate sul secondo turno, bisognerà attendere fino a martedi alle 18.
Nel frattempo, i tanti commentatori italiani che, nelle settimane scorse, stracciandosi le vesti di prefiche della democrazia, hanno contestato Macron per essersi assunto il rischio di consegnare la Francia (e l’Europa) a quel mostro della Le Pen, sono stati smentiti. Ma, si sa, quando si tratta di assumere decisioni nette e impopolari e di proporre visioni lungimiranti, il campionato politico italiano non è ‘allenante’: meglio giocare di melina, con passaggi di due metri, sempre rigorosamente in orizzontale come un Jorginho qualsiasi, limitandosi a spezzare il gioco altrui.
Però Macron gioca in Francia, con un sistema di gioco (elettorale) intrepido, che chiede intuizioni audaci. Alla lunga, il suo azzardo potrebbe avere successo.
Articolo pubblicato su il Riformista, il 2 luglio 2024
Giornalista, direttore di Libertà Eguale e della Fondazione PER. Collaboratore de ‘Linkiesta’ e de ‘Il Riformista’, si è occupato di comunicazione e media relations presso l’Ufficio di Presidenza del Consiglio regionale del Lazio. Direttore responsabile di Labsus, è stato componente della Direzione nazionale di Cittadinanzattiva dal 2000 al 2016 e, precedentemente, vicepresidente nazionale della Fuci. Ha collaborato con Cristiano sociali news, L’Unità, Il Sole 24 Ore, Europa, Critica Liberale e Democratica. Ha curato il volume “Riformisti. L’Italia che cambia e la nuova sovranità dell’Europa” (Rubbettino 2018).