di Carlo Fusaro
Pur con un ritardo rispetto alle iniziali previsioni il Parlamento ha varato in via (quasi) definitiva la modifica della Costituzione che estende a TUTTI i cittadini maggiorenni che godono dei diritti politici il voto per il Senato. Viene così finalmente modificato l’art. 58 Cost.
Inutile fare la storia: per certe cose il 1946-47 erano davvero altri tempi. Non migliori affatto.
Il nostro pasticciatissimo bicameralismo, ereditato dai padri costituenti, pur prevedendo l’assoluta parità delle due Camere (non si fa una legge se non nello stesso testo approvato da entrambe; non si governa senza la fiducia dell’una e dell’altra, etc.), cercò nella durata (6 anni contro 5), nell’età per votare ed essere votati e nella composizione (315 vs 630 + senatori a vita) la differenziazione fra Camera e Senato. Una scelta francamente assurda che del resto non piaceva neppure al relatore del progetto, Meuccio Ruini.
La durata diversa non si applicò mai: sarebbe stata un disastro, vi immaginate? Già abbiamo elezioni troppo frequenti! Il decalage le avrebbe moltiplicate. E nel 1963 fu abolita. Restavano composizione ed elettorato. Anche dopo la riforma del 2020 la composizione resta diversa (400 vs. 200). Ma la cosa veramente intollerabile (in una democrazia intendo) era il fatto che – pur avendo lo stesso potere di fare o non fare le leggi e di tenere o non tenere in piedi i governi – il Senato NON era eletto da tutti i maggiorenni (sopra i 18 anni), ma solo dai cittadini di almeno 25 anni.
In più, oltre ad essere una previsione palesemente non democratica, il non voto di 4 milioni di cittadini differenziando gli elettorati aumenta la possibilità di esiti diversi (magari anche di poco, qualche volta non di poco però, vedi per es. le elezioni del 2006, ma vedi in fondo anche questa legislatura e la precedente): nella misura in cui vi può essere una diversa propensione a votare per i vari partiti in base all’età (i giovani votano talora diversamente dai meno giovani e dagli anziani).
In attesa di una VERA riforma del bicameralismo che faccia i conti coi suoi difetti strutturali (chissà quando ci si deciderà: non sarà mai troppo presto, sarà certo comunque troppo tardi!), almeno questa follia è sanata. Vanno ringraziati quei deputati e quei senatori (cito solo Stefano Ceccanti e Dario Parrini) che si sono seriamente impegnati credendoci, e va ringraziato naturalmente il mutamento di clima politico e di maggioranza dopo il 2019.
Purtroppo i voti finali sono avvenuti a maggioranza assoluta, sufficiente ma inferiore a quella dei due terzi. Ciò significa che bisogna attendere tre mesi dalla pubblicazione in “Gazzetta Ufficiale” per dar tempo ad eventuali richieste di referendum. Francamente non si vede chi dovrebbe essere così folle da imporre al paese un voto su una cosa del genere, ma in queste cose ne abbiamo viste di tutte (le strumentalizzazioni sono una tentazione cui alcuni non sanno resistere).
In ogni caso è cosa fatta, e la prossima volta potranno votare davvero tutti i maggiorenni e per tutto il Parlamento, non solo per la metà. Per il momento, contentiamoci.
Presidente del Comitato scientifico di Libertà Eguale. Già professore ordinario di Diritto elettorale e parlamentare nell’Università di Firenze e già direttore del Dipartimento di diritto pubblico. Ha insegnato nell’Università di Pisa ed è stato “visiting professor” presso le università di Brema, Hiroshima e University College London. Presidente di Intercultura ONLUS dal 2004 al 2007, trustee di AFS IP dal 2007 al 2013; presidente della corte costituzionale di San
Marino dal 2014 al 2016; deputato al Parlamento italiano per il Partito repubblicano (1983-1984).