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Einstein e il necessario risveglio dell’Europa

Amedeo Lepore venerdì 8 Febbraio 2019
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di Amedeo Lepore

 

Leggendo uno scritto di molti anni fa, sembra di trovarsi di fronte a una descrizione della fase odierna della nostra storia:

«Da un po’ di tempo innumerevoli voci affermano che la società umana sta attraversando una crisi, che la sua stabilità è stata gravemente scossa. Caratteristico di una tale situazione è il fatto che gli individui si sentano indifferenti o addirittura ostili verso il gruppo sociale, piccolo o grande, al quale appartengono. Per illustrare ciò che intendo dire, voglio ricordare qui un’esperienza personale.

Recentemente discutevo con una persona intelligente e di larghe vedute sulla minaccia di una nuova guerra che, secondo me, comprometterebbe seriamente l’esistenza dell’umanità, e facevo notare che solo un’organizzazione sopranazionale potrebbe offrire una forma di protezione da questo pericolo. Allora il mio interlocutore, con voce molto calma e fredda, mi disse: “Perché lei è cosi profondamente contrario alla scomparsa della razza umana?”.

Sono sicuro che solo un secolo fa nessuno avrebbe fatto una domanda del genere con tanta leggerezza. È l’affermazione di un uomo che ha lottato invano per raggiungere un equilibrio interno e ha perduto, più o meno, la speranza di riuscirvi. È l’espressione di una solitudine e di un isolamento dolorosi di cui soffrono moltissimi in questi tempi. Quale ne è la causa? Esiste una via d’uscita?».

 

Essere solitario o essere sociale?

Infatti, quando, di due caratteri umani, prevale l’essere solitario sull’essere sociale, la ricerca individuale di tutela e di sicurezza, se non l’istinto di sopravvivenza e di sopraffazione, diventa l’obiettivo, o anche, la frustrazione principale. Senza ricorrere all’immagine dello stato di natura, dell’homo homini lupus, si può rintracciare la causa di questo diffuso malessere nell’incertezza profonda di questa epoca e nella mancanza di una visione del futuro.

Sempre per tornare a un pensiero istruttivo del passato, secondo Thorstein Veblen la “fase predatoria” della civiltà cresce per gradi «attraverso uno sviluppo cumulativo di attitudini, abitudini e tradizioni di rapina», mettendo in discussione ogni logica di comunità e contrapponendo individui a società.

Tuttavia, la società e l’economia non sono un contesto privo di istituzioni e di regole. E la politica dovrebbe indicare valori e soluzioni, non semplicemente assecondare l’indole umana, specie se nasce da una crisi concreta e da una caduta di prospettive.

 

Il risveglio dell’Europa

Un’istituzione sovranazionale è stata costruita attraverso il processo di integrazione europea. E di questo livello di unione – su nuove fondamenta istituzionali, economiche e sociali, capaci di superare i limiti di un mero funzionalismo della moneta unica – abbiamo un bisogno straordinario per non restare in una condizione di isolamento e residualità. Il risveglio dell’Europa può fornire certezze a chi è spaesato e privo di guida.

L’esigenza di nuove forme di benessere non si limita al campo delle politiche sociali, ma investe direttamente le scelte economiche, la possibilità di far leva sulla dirompente avanzata dell’innovazione tecnologica e sulla possibilità di cambiare i divari in opportunità inedite di sviluppo. Si tratta di interpretare i drammi e le possibilità presenti in questo tempo come una sfida culturale e un cimento per una classe dirigente europea.

 

Da Hobbes a Einstein, l’umanità è comunità

La vita non è necessariamente “spiacevole, grezza, e breve”, come sosteneva Thomas Hobbes, ma, quando incontra la sua dimensione sociale, può essere desiderabile, pregevole e intensa.

Dimenticavo. L’autore dell’apologo era Albert Einstein, che nel 1949 parlava all’epoca attuale: «È passato per sempre il tempo, che a volgersi indietro sembra cosi idilliaco, in cui gli individui o i gruppi relativamente piccoli potevano essere completamente autosufficienti. Non si esagera molto dicendo che l’umanità già oggi costituisce una comunità planetaria di produzione e di consumo».

È ora di pensare all’importanza dell’homo homini deus e all’articolazione di una democrazia, di una società e di una economia in grado di vederlo protagonista.

 

 

Già pubblicato da Il Sussidiario

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