di Danilo Di Matteo
Per me, con la morte di Eugenio Scalfari, è come se fosse scomparso uno di famiglia: un familiare e un maestro, un padre. Tanti sono i momenti decisivi e cruciali di una lunga vita come la sua, e altri, assai meglio di me, ne ripercorreranno le tappe e i passaggi più importanti. Ero un diciottenne quando gli scrissi, definendomi uno “scalfariano”. Vi era tutta un’Italia laica, liberale e socialista che scorgeva nel Pci una possibilità concreta di vero cambiamento.
Ancora ricordo (cito a memoria, non potendo consultare il testo) ciò che egli scrisse sull’album dalla copertina rossa diffuso da l’Unità nel 1985, in occasione del primo anniversario della morte di Enrico Berlinguer: non fraintendetemi – egli diceva – ma, dopo il “compromesso storico” e la “solidarietà nazionale”, il leader comunista ha “smesso di fare politica”. Dopo, con la seconda svolta di Salerno e la linea dell’alternativa democratica, la sua è stata piuttosto una predicazione, un’esortazione morale, un esempio luminoso.
E poi ricordo quell’estate nella quale il grande Scalfari definì il nostro un Paese “vacanziero, trafficante e rockettaro”. Una triade rimasta sicuramente scolpita nella mente di molti di noi. Anche quella, a suo modo, rappresentava una predicazione morale.
Venne per me, in seguito, il momento di nutrire un certo risentimento nei suoi confronti, accostandomi più da vicino al Pci e alle forze che ne raccolsero l’eredità: come se fossi stato ingannato. Stentavo a trovarvi il partito che avevo sognato e idealizzato, il partito, in senso lato, di Stefano Rodotà, di Salvatore Veca, di Eugenio Scalfari. Fra me e me quasi lo invocavo: “dove sei?”. Non a caso, dopo la Bolognina, immaginavo, come nuovo nome, di riesumare “Giustizia e Libertà” e come nuovo simbolo una ginestra. La Ginestra leopardiana, tenace e “resiliente” (anche se, quest’ultimo, è un vocabolo che non amo troppo).
Tu, Scalfari, avevi vissuto le tue disillusioni assai prima di me. E proprio per questo avresti continuato a rappresentare per me, e per tanti altri italiani, un punto di riferimento insostituibile, ma ti sentivo un po’ più distante, come un figlio divenuto nel frattempo adulto.
Psichiatra e psicoterapeuta con la passione per la politica e la filosofia. Si iscrisse alla Fgci pensando che il Pci fosse già socialdemocratico, rimanendo poi sempre eretico e allineato. Collabora con diversi periodici. Ha scritto “L’esilio della parola”. Il tema del silenzio nel pensiero di André Neher (Mimesis 2020), Psicosi, libertà e pensiero (Manni 2021), Quale faro per la sinistra? La sinistra italiana tra XX e XXI secolo (Guida 2022) e la silloge poetica Nescio. Non so (Helicon 2024) È uno degli autori di Poesia e Filosofia. I domini contesi (a cura di Stefano Iori e Rosa Pierno, Gilgamesh 2021) e di Per un nuovo universalismo. L’apporto della religiosità alla cultura laica (a cura di Andrea Billau, Castelvecchi 2023).