di Alessandro Maran
Trump è ormai senza freni. La stella di Emmanuel Macron si è oscurata. Ci sono poi il caos della Gran Bretagna, che sta cercando (senza riuscirci) di portare a termine la Brexit; i problemi finanziari e di bilancio dell’Italia; l’Ungheria e la Polonia che si sono convertite alla «democrazia illiberale». Insomma, alla vigila del nuovo anno, il quadro dell’Europa e dell’Occidente sembra davvero deprimente.
Il sostegno all’Unione europea è ai massimi livelli
Ma forse il futuro non è poi così tetro. Come sottolinea Matthew Karnitschnig di Politico – nei giorni scorsi ho postato il suo articolo «It’s the end of Europe as we know it (and it feels fine)» – , il sostegno per l’Unione europea è ai massimi livelli da decenni; e a un esame più attento, sebbene le forze del populismo in qualche posto continuino a crescere, negli ultimi mesi si sono registrate anche reazioni e fenomeni di rigetto che rappresentano una sorta di risposta immunitaria.
Perfino in Polonia e in Ungheria, per molti aspetti i simboli del movimento nazional-populista. In Polonia, gli sforzi per mettere mano alla composizione della Corte costituzionale hanno innescato proteste su vasta scala, la Corte di giustizia europea ha ingiunto al governo polacco di sospendere l’applicazione della riforma e il partito euroscettico al governo in Polonia ha fatto marcia indietro sulla «purga» ai magistrati contestata dalle autorità Ue.
Anche in Ungheria, le ultime mosse autoritarie del Primo Ministro Viktor Orbán (due leggi molto controverse che hanno a che fare con il codice del lavoro e con la creazione di un sistema parallelo di tribunali amministrativi che rafforzerà il già solido controllo del governo sul sistema giudiziario) hanno provocato proteste diffuse in tutto il paese, unendo le forze di opposizione come mai prima d’ora. Le manifestazioni di protesta hanno assunto il carattere di una opposizione generalizzata al partito al governo che, com’era prevedibile, ha usato i gas lacrimogeni su manifestanti perlopiù pacifici, bollandoli come anti-cristiani e accusando George Soros di aver organizzato le proteste.
Le notizie sulla fine di Macron sono premature
Anche per Emmanuel Macron (che è stato la speranza di quanti non vogliono che la politica globale sia dominata dal populismo, dal nazionalismo e dal razzismo) non è un momento facile. Il crollo nei consensi e le proteste, a volte violente, dei Gilet jaunes, lo hanno messo in difficoltà. Ma come ha scritto Fareed Zakaria, «in Francia, le notizie della fine di Macron sono premature. Sì, ora Emmanuel Macron è in calo nei sondaggi, ma gli elettori lo preferiscono comunque a Marine Le Pen con un margine ancora molto ampio. Ha di fronte un mandato di cinque anni, il suo partito controlla il Parlamento e la maggior parte degli analisti sono d’accordo nel ritenere che le sue riforme sono necessarie e ineludibili, se la Francia vuole competere per attirare investimenti e generare crescita. E se anche dovesse fare un solo mandato, avrebbe comunque promosso i cambiamenti più importanti per la Francia nell’arco di una generazione».
In Italia, come sappiamo, la nuova coalizione di governo ha presentato un bilancio populista che promette reddito di cittadinanza e pensionamento anticipato scavando un buco nel bilancio. Ma ha incontrato l’opposizione dell’Unione europea e i populisti hanno dovuto fare marcia indietro. La manovra ora è, ahimè, tutta nelle clausole di salvaguardia (e l’Italia, ahimè, é diventata un paese meno affidabile, meno ricco, meno produttivo, meno attrattivo, più isolato, ecc.), ma questa, come si dice, è un’altra storia e si dovrà raccontare un’altra volta.
Il nodo Brexit
L’Inghilterra resta il caso più complicato. Secondo l’Observer, ora i parlamentari di entrambi gli schieramenti starebbero progettando di costringere il governo a rimandare la Brexit di alcuni mesi per evitare un esito «no-deal» se Theresa May non dovesse riuscire a far passare in gennaio l’intesa che ha raggiunto con Bruxelles. La verità è che ogni volta che il paese si avvicina ad attuare la Brexit, si ritira, spaventato dai rischi. Il Primo Ministro Theresa May ha cercato di realizzare una «soft» Brexit e, anche se il compromesso raggiunto le ha procurato il biasimo dei Brexiteers più duri, non possono farla cadere. E forse non lo vogliono fare, perché poi dovrebbero accollarsi la missione impossibile che le hanno affidato. I proponenti della Brexit hanno venduto al paese la storiella che avrebbero potuto ottenere i benefici dell’accesso al mercato senza pagare il prezzo di doverne rispettare le regole. Ma con il passare del tempo, un numero sempre più grande di inglesi si sta rendendo conto che non si può avere la botte piena e la moglie ubriaca.
Usa: grande risultato dei Democratici alla Camera
E negli Stati Uniti, dove spadroneggia un presidente che si è votato orgogliosamente al populismo e al nazionalismo, nelle elezioni di midterm di novembre il Partito democratico ha ottenuto alla Camera dei rappresentanti il miglior risultato dai tempi del Watergate (nel 1974) e in questi mesi il presidente Trump ha dovuto fronteggiare una lunga serie di dimissioni di membri importanti della sua amministrazione. Inoltre, ci sono ora 17 diverse inchieste su Trump e i suoi affiliati, alcune delle quali hanno già portato a delle incriminazioni. Senza contare la serie di inchieste del Congresso che cominceranno sicuramente una volta che i democratici avranno preso controllo delle commissioni chiave della Camera.
Per due anni – ha scritto Zakaria – i repubblicani hanno fatto il bello e il cattivo tempo a Washington. Ma il loro strapotere «finisce il 3 di gennaio». «Non intendo minimizzare l’ondata populista che sta ancora attraversando l’Occidente e altre parti del mondo», ha scritto il giornalista americano. «Ma la preoccupazione non deve cedere il posto alla disperazione. In ogni paese c’è un sacco di gente che si oppone alla politica del risentimento e dell’identità. E questa gente è altrettanto forte».
Si dovrà riorganizzare (e noi ne sappiamo qualcosa), bisognerà darsi una mossa e, dalle nostre parti, servirà forse un nuovo contenitore con una nuova leadership in grado di parlare agli elettori assettati di novità. Ma non c’è ragione di aver paura. Felice anno nuovo!