di Alberto De Bernardi
Alessandro Maran nel suo articolo comparso sul Foglio il 7 luglio (ripubblicato da Libertà Eguale il 9 luglio scorso) fin dal titolo poneva la questione cruciale che hanno di fronte tutti coloro che stanno impegnandosi a vario titolo e in vari modi per evitare di “morire populisti”: c’è un modo, si chiedeva, per ancorare l’Italia all’Occidente, mantenere la rotta atlantica e rafforzarne il peso nella UE diverso dall’ircorcervo – l’alleanza strategica tra Pd e M5S – proposto da Franceschini?
In altre parole c’è un’alternativa al sincretismo demopopulista che si è rivelato l’effettivo risultato dello sforzo di “romanizzare i barbari” cioè quello di riportare dentro un orizzonte occidentale e europeista la componente antipolitica, ribellistico-qualunquista e statalistico-assistenzialista del populismo italiano sostenuta da un vastissimo consenso popolare?
A un anno dalla nascita del Governo Conte II queste domante sono diventate cruciali per tre ragioni fondamentali.
Se vacilla l’alleanza con i 5s
– La prima riguarda il fatto che l’ircocervo costruito da Franceschini – pensato in una fase nella quale gli imperativi categorici era da un lato costruire un cordone sanitario intorno alla destra sovranista per impedirle di manomettere le fragili strutture della democrazia italiana e dall’altro riprendere il cammino della crescita avviato dai governi Renzi- Gentiloni – non è più forte come quando era stato pensato e si era imposto nel Pd. Sta invece vacillando di fronte alla situazione di emergenza radicale in cui la pandemia ha trascinato tutti i paesi del mondo e l’Italia in particolare. Se romanizzare i barbari poteva rappresentare una soluzione apparentemente convincente in una fase di ordinaria amministrazione non può più bastare nello “stato di eccezione” nel quale è indispensabile un governo a forte caratura politica e a chiaro indirizzo programmatico, per portare il paese fuori da una crisi straordinaria.
Se il populismo seduce il Pd
– Ma la pandemia fa emergere anche il lato oscuro del progetto di Franceschini. La seduzione populista si sta impossessando del Pd: questa è la seconda ragione che impone di rispondere alle domande di Maran. Una seduzione che lo sta portando in una terra di nessuno ormai lontana dalla tradizione di centro sinistra di marca ulivista nella quale si collocarono anche i governi Pd della scorsa legislatura, nella quale riemergono i nodi irrisolti della sinistra postcomunista: collateralismo consociativo con i sindacati, velleità stataliste e dirigiste, richiami assistenzialisti, ambientalismo di maniera, giustizialismo e pulsioni anticapitaliste che riemergono tanto più forti quanto più il populismo ha la forza di imporre il perimetro ideale dentro cui si svolge il confronto politico.
Romanizzare i barbari ha infatti implicito al suo interno il processo inverso dell’imbarbarimento dei romani, quando sopratutto questi ultimi non sono esenti da quelle eredità ideali e programmatiche di cui i barbari si sono rozzamente impossessati.
Dentro il grillismo c’è infatti tanto populismo di sinistra che riemerge tutte le volte che la durezza della realtà spinge a scelte radicali: investire sulla scuola o salvare Alitalia, dare vita a un grande piano di infrastrutture per rilanciare lo sviluppo e la modernizzazione del paese, o adagiarsi al triste credo della decrescita felice, assumere un europeismo intransigente o balbettare sul Mes, nazionalizzare l’Ilva o rilanciare il mercato e le imprese. L’incertezza immobilista del Conte II non sta nella personalità debole dell’avvocato di Foggia; sta nel fatto che il Pd dopo aver rinunciato al una visione liberal-progressista è inevitabilmente costretto a riempire quell’ “ircocervo” di una cultura politica nella quale si fondono elementi presi a prestito dal M5S e altri che stavano sopiti nella tradizione della sinistra italiana, comunista e cattolica, e che l’avventura del Lingotto nel 2008 avrebbe dovuto progressivamente superare.
Al centro di quel progetto c’era la volontà di superare la frattura tra libertà ed eguaglianza che era la grande eredità del XX secolo e che non reggeva più di fronte al mondo globalizzato: oggi il PD è riprecipitato in quella faglia da cui non solo non uscì il Pci, ma nemmeno la socialdemocrazia europea, prima di Blair e di Schroeder.
Se i barbari si sfasciano
– La terza ragione è che i barbari si stanno sfasciando, rendendo ancor meno urgente e meno utile la prospettiva di romanizzarli. Mentre la Lega e FdI rappresentano la versione italiana del sovranismo populista mondiale, che costituisce il volto effettivo della destra nei quattro continenti, il M5s è un invenzione politica nazionale, nella quale, come giustamente ha sottolineato Maran, è confluita la parte peggiore dello spirito pubblico nazionale fatto di invidia sociale, di rifiuto della responsabilità individuale, di un impasto mefitico di anarchismo e conservatorismo, di antistatalismo ma al contempo di spasmodica ricerca di protezioni pubbliche.
Come durò lo spazio di un mattino l’Uomo Qualunque che ne costituisce l’effettivo antefatto storico, così sta già entrando in un cono d’ombra il movimento di Grillo e Casaleggio. Ma allora c’era la Dc che davvero romanizzò quell’elettorato barbaro, reazionario e monarchico, prevalentemente meridionale, che si era infatuato di Giannini, traghettandolo a fatica nella repubblica democratica; oggi c’è il PD che vuole invece riprodurre l’ircocervo in via di spiaggiamento in ogni città e regione italiana, pur sapendo che l’apporto elettorale sarà spesso di pochi punti percentuali. D’altronde se si sfarina il progetto dell’ircocervo il notabilato democratico non avrebbe più il baricentro della sua alleanza interna e tutto potrebbe saltare.
C’è un’alternativa?
Un’alternativa è possibile? Io credo di si a condizione che abbia chiaro che il cammino è lungo e difficile. Si devono infatti mettere in moto alcuni processi, senza i quali il declino dell’ircocervo potrebbe produrre alti costi al paese.
Il primo è la ricostruzione di una sinistra liberale dopo il collasso del 2018 attorno ad alcune potenziali start up di cui si può disporre: Azione, Italia Viva, +Europa, e forze associate del civismo democratico possono costituire il nucleo iniziale. Queste forze sono divise e deboli, ma unite potrebbero costituire uno stimolo a mettere in moto due altri processi indispensabili: la riapertura di un dibattito politico nel Pd nel quale i pochi riformisti rimasti facciano sentire la loro voce; lo smottamento del centro moderato dentro FI.
L’andamento delle elezioni di settembre è una cartina di tornasole per verificare quale di queste dinamiche si è messa in moto: la sconfitta dei candidati demopopulisti alla Sanza e alla Emiliano sarebbe un buon segnale a cui la sconfitta del si al referendum sulla riduzione dei deputati darebbe un ulteriore segnale di cambiamento di fase. Nulla però è scontato e facile: ma questo è il bello della politica.
Professore di Storia Contemporanea all’Alma Mater Studiorum – Università di Bologna. Presidente della Fondazione PER – Progresso Europa Riforme. Componente del Comitato scientifico di Libertà Eguale. Tra i suoi libri più recenti: “Fascismo e antifascismo. Storia, memoria e culture politiche”, Donzelli Editore 2018, e “Il paese dei maccheroni. Storia sociale della pasta”, Donzelli Editore 2019