di Giorgio Tonini
Papa Bergoglio è un gesuita che ha deciso di chiamarsi Francesco. È come se, nell’accettare l’elezione a successore di Pietro, il papa italo-argentino si fosse posto alla confluenza di due grandi filoni spirituali, che hanno attraversato da protagonisti la storia del cattolicesimo e avesse indicato questa inedita sintesi come via per la Chiesa nel nostro tempo. Molto francescana, ma anche molto gesuita, è l’ultima enciclica di papa Bergoglio. Francescana già nel nome: “Fratelli tutti”, citazione dagli Ammonimenti del Santo di Assisi; e proprio ad Assisi Papa Francesco ha voluto firmare l’enciclica, il 4 ottobre, festa del patrono d’Italia. Ma francescano è soprattutto l’approccio ai complessi temi trattati, che vengono posti a confronto col Vangelo, per così dire, “sine glossa”, senza sofisticate mediazioni intellettuali, o sovrastrutture anche teologiche: come il poverello di Assisi, papa Francesco pone il mondo a confronto con la parola di Gesù nella sua nuda radicalità. Fino a rischiare un esito fondamentalista e integralista. Dal quale lo salva l’altra dimensione dell’enciclica: l’utilizzo del metodo gesuita del “discernimento”, che conferisce al testo una curvatura spirituale che lascia alla coscienza personale la responsabilità di tradurlo in azione sociale e politica.
Come ha scritto Luigi Accattoli, “la predicazione sociale del Papa gesuita si presenta più come una provocazione al “discernimento evangelico” che come una “dottrina sociale”… L’approccio dottrinale poteva essere riassunto nelle domande: che dice la Chiesa dei salari, delle cooperative, dello sciopero, della pace, del rapporto tra paesi poveri e ricchi, dell’ecologia? Quello esperienziale pone questioni di comportamento e di scelte innanzitutto soggettive, e poi ovviamente anche comunitarie: che può fare il cristiano in merito alla tratta, alle migrazioni, al commercio di organi, allo sfruttamento sessuale di bambini e bambine, al lavoro schiavizzato, alla prostituzione, al traffico di droghe e di armi, al terrorismo, al crimine internazionale organizzato, alle tentazioni del sovranismo, alla pena di morte? Mira di più alla conversione degli atteggiamenti che ai programmi d’azione”.
Viene alla mente il testo evangelico forse in assoluto più radicale e rivoluzionario: il Magnificat. Maria loda l’Onnipotente perché “ha rovesciato i potenti dai troni e ha innalzato gli umili, ha ricolmato di beni gli affamati e ha rimandato i ricchi a mani vuote”. Ma questa radicale trasformazione sociale e politica è stata resa possibile da un evento spirituale: Dio “ha spiegato la potenza del suo braccio e ha disperso i superbi nei pensieri del loro cuore”. È per l’appunto alle menti e ai cuori delle donne e degli uomini del nostro tempo, ai “pensieri del loro cuore”, che si rivolge papa Francesco col suo annuncio “sine glossa” del Vangelo di Gesù. Che così non viene ridotto ad un programma politico, ma si propone di indurre una “metànoia”, una conversione nel senso letterale di cambiamento di mentalità, capace di generare nuovo pensiero e nuova azione sul terreno sociale e politico.
La parola di Dio posta alla base dell’enciclica è la parabola del Buon Samaritano (Luca 10, 25-37), che papa Francesco ripropone integralmente e commenta in modo analitico. La famosa parabola serve a papa Bergoglio per fare i conti con la questione a suo avviso cruciale del nostro tempo: potremmo definirla la dialettica tra apertura e chiusura, il contrasto tra una visione solidale, inclusiva, dialogica della globalizzazione e una difensiva, diffidente, intollerante. Il sogno francescano di “una fraternità aperta”, contro l’incubo delle “ombre di un mondo chiuso”. Un uomo è aggredito, derubato e lasciato in terra gravemente ferito da una banda di briganti: il male esiste nel mondo perché alberga nel cuore dell’uomo. Davanti alla vittima passano uomini importanti che si voltano dall’altra parte. Il papa nota che sono uomini di religione, perché anche questo tradimento fa parte della storia umana. Finché non sopraggiunge un samaritano, un nemico, un reietto, comunque un diverso, che soccorre l’uomo caduto, lo porta in una locanda e paga per le sue cure. Un uomo qualunque, capace di un gesto disinteressato, che scavalca steccati e ignora pregiudizi, all’insegna della gratuità e della fraternità aperta e universale. Non potrebbe esserci critica più radicale al manicheismo fazioso che oppone “noi” e “gli altri”, “i nostri” ai “nemici”. Che costruisce muri, blinda confini, emargina chiunque appare diverso. E ad un modello di società materialistico, nel quale il valore delle cose è determinato esclusivamente dal prezzo, dal valore di scambio sul mercato e il senso della vita si risolve nella ricerca dell’utile individuale.
Per quanto correttamente indiretta, appare comunque evidente la forte carica politica dell’enciclica. Alla vigilia di un evento come le elezioni presidenziali negli USA, dal quale può dipendere il verso che prenderanno nei prossimi anni le vicende umane globali, la critica del trumpismo non potrebbe essere più netta e definitiva: per il suo populismo liberista, al quale Bergoglio oppone un approccio popolare e democratico, che esalta il lavoro anche come unica via d’uscita dalla povertà senza cadere in nuove dipendenze assistenzialistiche; per le chiusure in materia di immigrazione, fino agli eccessi xenofobi e razzisti, alle quali l’enciclica oppone una strategia fondata su quattro dimensioni: accogliere, proteggere, promuovere e integrare; per la sistematica delegittimazione delle istituzioni multilaterali, a cominciare dall’Onu, che invece papa Francesco difende in nome della pace e contro la guerra, a partire dal primato kantiano del diritto internazionale sui meri rapporti di forza tra potenze sovrane; per l’esaltazione della pena di morte, che invece l’enciclica condanna senza alcuna attenuante.
Saranno i prossimi mesi e forse anni a dirci se la presa di posizione così netta del papa riuscirà a ricomporre la lacerata comunità cattolica americana (e non solo) o se invece dovrà affrontare il calvario di nuove lacerazioni. Forte è infatti la componente dell’episcopato americano che si sente e si dichiara in sintonia con le posizioni del presidente Trump, che enfatizzano, in chiave neo-conservatrice, la centralità politica delle questioni che riguardano la sessualità e la procreazione, a cominciare dalla questione dell’aborto. Papa Francesco non ha modificato la posizione della Chiesa Cattolica su questi temi, ma li ha riproposti all’interno di una corretta ermeneutica evangelica, ossia alla luce del primato della carità. Non si possono quindi usare gli argomenti che riguardano la vita e la sessualità per relativizzare la cogenza della carità, della fraternità universale, della cultura dell’accoglienza. Il percorso da fare è semmai quello opposto: è in forza del primato della carità che i cristiani e tutti gli uomini di buona volontà devono opporsi a quella che Bergoglio chiama “la cultura dello scarto”: una degenerazione che non risparmia nulla e nessuno, nemmeno i bambini non nati o gli anziani abbandonati. Con tenerezza e fermezza insieme, i cristiani cattolici, americani e non, insieme a tutti i credenti e a tutti gli uomini “di buona volontà”, sono chiamati dal papa a ritrovarsi attorno a questo francescano Vangelo “sine glossa”, a farne oggetto di “discernimento spirituale” e motivo di speranza per l’umanità.
Consigliere provinciale a Trento e presidente del gruppo del Partito Democratico del Trentino. Componente della Presidenza di Libertà Eguale.
Senatore dal 2001 al 2018, è stato vicepresidente del gruppo del Partito democratico in Senato, presidente della Commissione Bilancio e membro della segreteria nazionale del Pd.
E’ stato presidente nazionale della Fuci, sindacalista della Cisl, coordinatore politico dei Cristiano sociali e dirigente dei Democratici di Sinistra.
Tra gli estensori del “Manifesto per il Pd”, durante la segreteria di Walter Veltroni è stato responsabile economico e poi della formazione del partito.