di Giovanni Cominelli
Si domanda lo storico e commentatore politico Giovanni Orsina, su La Stampa dell’8 settembre, quale sommovimento di valori stia portando in alto verso il 25% del consenso elettorale, come da sondaggi, quale alta marea stia sollevando la barchetta di Giorgia Meloni, che solo cinque anni fa stava alla fonda con il suo 4,35% e 19 deputati alla Camera?
La tesi di Orsina è che le fasce più deboli della popolazione sono attratte dallo slogan del conservatorismo storico “Dio, Patria, Famiglia”, che campeggia idealmente sugli stendardi con la fiamma tricolore come l’ “In hoc signo vinces” al Ponte Milvio di mille e settecento anni fa.
Perché attratte? Negli sconvolgimenti socio-economici e culturali della globalizzazione in atto in questi decenni, e qui proseguo con le parole del Manifesto di Marx del 1848, “tutte le stabili e irrugginite condizioni di vita, con il loro seguito di opinioni e credenze rese venerabili dall’età, si dissolvono, e le nuove invecchiano prima ancora di aver potuto fare le ossa. Tutto ciò che vi era di stabilito e di rispondente ai vari ordini sociali si svapora, ogni cosa sacra viene sconsacrata e gli uomini sono finalmente costretti a considerare con occhi liberi da ogni illusione la loro posizione nella vita, i loro rapporti reciproci”. Da questa apocalisse in avanti, i percorsi individuali e collettivi si differenziano. Chi dispone di minori strumenti cognitivi e occupa una posizione sociale messa a rischio dai cambiamenti socio-economici – per es. gli operai – cerca un faro nella tempesta. Le classi più ricche di conoscenze, più connesse con il mondo globale, e che votano per lo più a sinistra, hanno deciso, invece, di mollare gli ormeggi etici, in nome di un “relativismo radicale”, in forza – o in debolezza? – del quale Dio non esiste più, la Patria è sciolta nell’Europa e quanto alla Famiglia naturale, tutti hanno ben presente il DdL Zan.
Per Orsina, Giorgia Meloni si presenta come l’ultima zattera per “i sommersi” del popolo, che coltivano qualche fede, mentre le élite relativiste dei “salvati” guardano altrove.
Un’altra lettura è possibile e, azzardo, più realistica e perciò più veritiera.
I comportamenti socio-culturali della popolazione, quali sono rilevati per esempio, da ISTAT o IPSOS, non segnalano grandi differenze culturali relativamente alla triade valoriale “Dio, Patria e Famiglia”. Compaiono differenze più generazionali.
Semmai è il relativismo la nuova religione di massa, se questa espressione non fosse un ossimoro. Lo testimoniano le statistiche drammatiche sulla scristianizzazione/
Perciò le radici del melonismo non vanno cercate nell’alto dei cieli, ma più terra terra.
La terra qui è il sistema politico nazionale. La politica dei partiti è “in folle” dai primi anni ’90. Non che prima ci fossero governi stabili o legislature durevoli: la penultima legislatura di cinque anni è quella del 1963-68, l’ultima quella del 1987-92. In mezzo, vent’anni di legislature sciolte anticipatamente.
Vigeva tuttavia una stabilità di fondo, il disegno del puzzle era sempre lo stesso, cambiava spesso la collocazione delle tessere. Stabilità obbligata dalle nostre alleanze internazionali. Le Potenze vincitrici della Seconda guerra mondiale ci avevano tenuto sotto tutela fin dal 1943, fin dentro l’Assemblea costituente e anche dopo. I partiti legittimati a governare erano “quelli” e quelli governavano.
Nel 1989 la caduta del Muro allentò i vincoli internazionali che imprigionavano il nostro sistema politico. I partiti furono lasciati liberi dall’esterno e sollecitati dall’interno a cambiare sistema elettorale e assetti istituzionali. Il dibattito attraversò il decennio e morì nella Commissione Bicamerale del 1997-98 per conservatorismo, per miopia, per calcoli opportunistici.
Così sono venuti avanti i movimenti populisti, i quali, di fronte alla non-volontà dei partiti di cambiare, hanno inoculato dal basso nel sistema la sindrome del leader salvatore. Se è troppo complicato mettersi d’accordo tra partiti, perché non abbattere a forza le resistenze in nome di una liberazione imminente, capitanata da un Capo? E così prima è arrivato Berlusconi e poi Grillo e poi Renzi e poi Salvini…
Ora, a coloro che continuano ad aspettarsi molto dalla politica, ecco apparire la nuova Madonna pellegrina: Giorgia Meloni. Essendo rimasta estranea all’area di governo, essendo stati tutti i leader precedenti ingoiati dalle sabbie mobili del sistema politico nazionale, resta per un numero crescente di elettori l’ultima zattera. Resa guardinga dall’esito delle leadership altrui, pare anche essersi resa conto che senza un cambio del sistema politico-istituzionale, il suo governo è destinato a perdersi in procelle pericolose. Perciò ha ripreso il tema del presidenzialismo ed ha proposto una nuova Bicamerale. Che Letta ha respinto con ottusa arroganza.
Se l’attrazione per Giorgia Meloni è molto alta – ma nel 2018 Grillo arrivò al 33,3% -, la sua forza principale non sta nel “Dio, Patria, Famiglia”, ma nell’essere lei l’ultima occasione di un sistema dei partiti che ha consumato tutti i proprio leader a destra e a sinistra. La sua forza consiste nel fatto che è rimasta “fuori dal coro” come voce stonata. Se il consenso elettorale la spingerà dentro, allora incominceranno i problemi per lei. Quelli del Paese li sta già affrontando Draghi, la cui caduta lei ha sempre chiesto a gran voce.
I problemi per Giorgia Meloni sono fatalmente gli stessi di chi l’ha preceduta al governo, supposto che lei vada ad occupare quello scranno: l’instabilità patologica dei governi, che sta scritta nel DNA della Costituzione; l’opposizione che si pone come scopo principale quello che anche lei in questi cinque anni si è posta: non tenere sotto controllo il governo, ma farlo cadere appena possibile, per sostituirlo; una legge elettorale che i suoi promotori originari adesso definiscono “pericolosa per la democrazia” e che ha definitivamente sottratto agli elettori la possibilità di scegliere i propri rappresentanti e li ha allontanati dalla politica.
Editoriale da santalessandro.org, sabato 10 settembre 2022
E’ stato consigliere comunale a Milano e consigliere regionale in Lombardia, responsabile scuola di Pci, Pds, Ds in Lombardia e membro della Commissione nazionale scuola, membro del Comitato tecnico scientifico dell’Invalsi e del CdA dell’Indire. Ha collaborato con Tempi, il Riformista, il Foglio, l’ Avvenire, Sole 24 Ore. Scrive su Nuova secondaria ed è editorialista politico di www.santalessandro.org, settimanale on line della Diocesi di Bergamo.
Ha scritto “La caduta del vento leggero”, Guerini 2008, “La scuola è finita…forse”, Guerini 2009, “Scuola: rompere il muro fra aula e vita”, BQ 2016 ed ha curato “Che fine ha fatto il ’68. Fu vera gloria?”, Guerini 2018.