di Severino Dianich
Giornata del Ricordo 2025 – Intervento al Consiglio Regionale della Toscana – Firenze
Premesse.
Profugo da Fiume nell’ottobre 1948
Approdato al Seminario di Pisa, studente liceale, nel gennaio del 1949.
Ordinato prete nel 1958.
Impegno pastorale a Pisa, docenza a Firenze nella Facoltà Teologica dell’Italia Centrale
Una raccomandazione.
Che nessuno osi offendere la nostra sofferenza facendone motivo di polemica politica.
Una chiarificazione.
Giornata del ricordo: le foibe, un’icona efficace ma su quei 4000/11000 morti ammazzati dai partigiani comunisti di Tito nelle epurazioni del 1943 e del 1945 fra il 1943 e il 1952 si distende il drama dell’esodo di 300.000 profughi che hanno abbandonato le loro terre per sfuggire alla fame e vivere in libertà.
Tre province: Pola, Fiume e Zara.
Non essendo uno storico, mi assumo la parte del testimone e quindi dirò dell’esperienza mia e della mia cerchia quindi il panorama sarà quello, limitato, proprio dell’esodo da Fiume.
Le ragioni dell’esodo
Lo stanno appurando gli storici ora che con l’ingresso della Croazia nella comunità europea si stanno aprendo gli archivi.
Da testimone, non da storico, sono dei pochissimi, ormai, che possono dire: “Io c’ero”.
La pressione più forte a lasciare Fiume, nel mio ricordo, non era di carattere ideologico e politico.
Veniva dal bisogno di fuggire dalla miseria e dalla fame: che fame vera era, certi giorni, quando i negozi di alimentari erano vuoti.
Era che al disastro dell’economia della guerra si aggiungevano i processi di collettivizzazione delle attività produttive, la crisi della rete della distribuzione, e tutta la politica economica del regime che, per un disperato bisogno di valuta estera, dovuto al programma di sviluppo dell’industria pesante e della produzione delle armi, privilegiava l’esportazione rispetto al consumo interno.
Si vedevano partire per Trieste i treni pieni di ogni ben di Dio e in casa si mangiava solo la minestra di risi e bisi. Ricordo la coda per il pane e arrivare al banco che il pane era finito.
La ragione ancor più decisiva era l’oppressione insopportabile del regime nella negazione, la più rozza, delle più elementari forme di libertà.
Arrivano finalmente le scarpe da Bata, ma per l’acquisto bisognava esibire il certificato del capocasa del Partito, che lo rifiutò decisamente a mio papà, perché non frequentava le riunioni del Partito.
E’ stata questa miscela insopportabile di oppressione e di miseria a motivare l’esodo, molto più dei motivi, pur veri, di carattere ideologico, come la volontà di salvare la propria identità di italiani.
Il nazionalismo, fra l’altro, andava ancora esorcizzato dalla sua identificazione con il fascismo.
Coloro, fra l’altro, che erano compromessi col Fascio, se non erano finiti nelle foibe, se n’erano andati subito, nei primi giorni dell’occupazione jugoslava.
Ma soprattutto va detto che Fiume aveva saputo vivere sotto l’impero austroungarico,
– governarsi con le sue ampie autonomie in quanto territorium separatum dell’impero austroungarico
– amministrarsi difendendo la sua cultura e la sua lingua italiana anche quando cadeva sotto la sovranità determinata del Regno d’Ungheria,
– amministrarsi anche nella totale indipendenza di città/Stato, come la maggioranza dei suoi cittadini l’avevano voluta, nelle elezioni del 1921, con il 65% dei voti al partito autonomista di Zanella,
– godere di un sistema scolastico di scuole in maggioranza italiane, ma con la presenza anche di scuole ungheresi e croate.
Tutti questi cambiamenti senza che mai ai fiumani venisse in mente, se scontenti, di andarsene.
Fiume avrebbe potuto continuare a godere di questo carattere cosmopolita anche sotto la Jugoslavia se la nuova Jugoslavia avesse avuto un sistema di governo democratico.
Quindi, nella grande maggioranza dei casi, è per amore della libertà e di una vita dignitosa sul piano economico che ci siamo fatti esuli.
Esuli in patria a dire il vero, e non senza contraddizioni e sofferenze subite anche da parte della patria.
Si pensi al miserabile livello dell’accoglienza che ci fu offerta: nulla di più di un box 4×4 negli androni di una caserma smessa due caprette di ferro, 3 tavole e un pagliericcio e a mezzogiorno un piatto di minestra.
Con i comunisti e i socialisti italiani che ci consideravano fascisti fuggiti dal Sol dell’avvenire del paradiso socialista di Tito.
Quale lezione di vita ricavarne
Se la storia è magistra vitae ciascuno ne ricavi la lezione che gli sembra più importante.
Io vorrei dire la mia, senza pretendere assolutamente sia l’unica valida.
Il pensiero va alla situazione odierna e al dissennato attuale revival dei nazionalismi.
Dal Deutschland über alles al Make America first again del trumpismo dominante, passando dall’Argentina di Milei e il confessionalismo induista di Modi per arrivare al preoccupante sdoganamento del nazismo in Germania.
I nazionalismi ci hanno dato due guerre mondiali.
L’ autoesaltazione della coscienza nazionale, la chiusura dei confini, la spinta alla rivalità fra le nazioni più che alla solidarietà mi paiono fenomeni che ci portano indietro di secoli nel cammino della civiltà.
Noi fiumani, giuliani e dalmati, ne siamo stati, come popolo, fra le ultime vittime, mentre i Balcani non hanno cessato di produrne, v. la Sarajevo di 30 anni fa.
Infine, credo che a noi italiani di Pola, Fiume e Zara, alle nostre Associazioni, che le nuove generazioni stanno portando avanti brillantemente spetta il compito di testimoniare che è possibile, ed è garanzia di armonia, di pace e di un incessante arricchimento culturale, coltivare e sviluppare ulteriormente la ricchezza delle nostre tradizioni culturali vivendo in qualsiasi parte del mondo, non senza pretendere, allo stesso tempo, che le istituzioni della Repubblica le proteggano e ne favoriscano i migliori sviluppi come fattore importante di una politica che sappia custodire e valorizzare la propria identità culturale aprendosi al mondo, al di là di tutti i confini, nella ricchezza delle diverse culture in mezzo alle quali viviamo, come dice il nome della nostra associazione “Fiumani Italiani nel Mondo”.