di Vittorio Ferla
Forse c’è ancora qualche sprovveduto che si stupisce della trasformazione di Giuseppe Conte. Un tempo presidente del consiglio compassato ma lezioso, fornito di ciuffo tirabaci e di leziosa pochette da taschino, piccolo sbuffo che tradisce una personalità che si piace assai. Oggi barricadiero esistenzialista nelle marce della pace, con tanto di dolcevita da intellettuale organico degli ultimi della terra, in cammino verso l’orizzonte del buonismo universale.
Ma l’evoluzione dello Zelig di Volturara Appula non deve sorprendere. Già nel discorso di insediamento alle camere del 2018, forte di una spuria alleanza bipopulista gialloverde, Giuseppe Conte si autodefinì “avvocato del popolo”, mixando in una sintesi quasi romanzesca la sua modesta storia di causidico di provincia con l’invenzione di un’epica stracciona che raccontava la rivolta delle masse degli esclusi finalmente alla conquista dei palazzi. In linea con la sua impronta peronista, il Conte capo del governo esercitò la sua funzione con quel tanto di paternalismo compiaciuto e malandrino che usò nei rapporti con la Merkel come negli annunci alla nazione colpita dalla pandemia. Con la faccia birbona che si ritrova, Giuseppi è capace di rifilare alla folla qualsiasi pentola, compresa la sfilata dei mezzi militari russi sulle autostrade italiane durante i lockdown, in attesa di non si sa ancora quale tipo di aiuto sanitario, proprio mentre il Cremlino occupava bellamente da un lustro alcune regioni dell’Ucraina. Ai tempi di Palazzo Chigi, il nostro aveva conquistato la stima di Donald Trump, il comandante in capo dei populisti occidentali, aumentando la quota di bilancio indirizzata alle spese militari a sostegno della Nato. E sotto il governo Draghi, pur considerandolo ancora oggi un usurpatore, Conte fu a capo del gruppo parlamentare più numeroso, perno della maggioranza delle larghe intese, che votò gli aiuti all’Ucraina, compresi quelli militari. Con la stessa nonchalance, due giorni fa, durante le dichiarazioni di voto in aula alla Camera, il presidente del M5s ha chiesto di fatto al governo italiano di voltare le spalle al popolo ucraino, ridotto al gelo dai bombardamenti di Putin contro le infrastrutture che garantiscono la fornitura di servizi pubblici essenziali come luce e gas, e di voltare le spalle agli alleati europei e occidentali, finalmente riuniti nell’intento di ricacciare un dittatore al di fuori dei confini dell’Europa. Quando Conte dice “esigiamo un cambio di passo dall’Alleanza atlantica, dall’Unione europea, dai protagonisti del conflitto e dai principali player internazionali”, oppure afferma “esigiamo un cambio di passo dal nostro governo, dal nostro Paese, chiesto da centomila cittadini che hanno sfilato qui a Roma un mese fa”, o ancora aggiunge “il Movimento cinque stelle non si rassegna all’ineluttabilità della guerra, occorre dare voce all’anelito di pace”, senza spiegare il come e il chi, resta più la sensazione del raggiro del leguleio che una prospettiva concreta di azione.“L’Italia sulla crisi ucraina svolga un vero ruolo da protagonista promuovendo una conferenza di pace. Non possiamo continuare a pensare ad una illusoria disfatta della Russia”, proclama Conte. Ma chi non sia sprovveduto non può fare a meno di leggervi un nonsense, una frase priva di alcun senso logico, visto che nel mondo reale è la Russia che fa la guerra e che non vuole la pace, mentre la Nato, i paesi occidentali e l’Italia si sarebbero volentieri risparmiati questa tragica scocciatura. Quando poi il leader pentastellato assicura che l’invio delle armi è stato “necessario per garantire alla popolazione ucraina la legittima difesa” in passato, ma “oggi dopo nove mesi questa non può essere più la soluzione” e “sul piano delle armi e del sostegno militare si è agito tanto anche troppo”, devi concludere così: o il dichiarante ignora del tutto i fatti reali e le pratiche della diplomazia oppure, più probabilmente, dichiara a vanvera, offrendo concetti inventati e obiettivi impossibili, costruiti per imbrogliare le carte e per ammiccare a un elettorato più concentrato sulle proprie tasche che sui doveri di responsabilità internazionale richiesti all’Italia. Dicendo “non possiamo pensare di continuare a inseguire una illusoria vittoria militare con la Russia, con il rischio di scatenare un conflitto ancora più incontrollabile e una catastrofe nucleare”, Conte alimenta le paure recondite con il ricatto morale della tragedia atomica. Oppure si appella al buonismo disincarnato dalla realtà quando piange: “i bambini di Kiev chiedono la pace, una parola scomparsa da troppo tempo dal dibattito pubblico”. Ma il leader grillino riesce perfino a fare di peggio. Rivolto al governo, che accusa di essere “guerrafondaio”, il capo del M5S lancia il più classico degli anatemi populisti: “questo governo non ha occhi per guardare alle esigenze del Paese. Li chiude davanti ai bisogni della gente ma li apre alle esigenze delle lobby delle armi”. Bingo. Il gioco è fatto. Contrapporre la pancia degli italiani all’assassinio degli ucraini è il più becero e gaglioffo degli espedienti peronisti.
A poco serve il richiamo alla coerenza formulato dal ministro della difesa. Guido Crosetto ha ricordato che il governo sta semplicemente “dando esecuzione a cinque decreti ereditati da un precedente governo dove Conte rappresentava il maggior partito di maggioranza”. Ma la coerenza è l’ultimo dei problemi dei tribuni del populismo. Oggi il pacifismo assoluto di Conte è semplicemente uno stratagemma per raccattare un certo tipo di consenso (sinistra radicale più irenismo cattolico), mettere il cappello sull’opposizione, cercando di grattare un altro po’ di simpatizzanti al Pd in crisi, giocare a fare il Mélenchon italiano. Una strategia che nel breve periodo garantisce senz’altro a Conte peso e visibilità, ma resta da verificare se nel lungo periodo gli permetterà di allargare il suo elettorato. Semmai la cosa che più stupisce è che sono troppi i dirigenti dem che, sentendosi superati a sinistra, hanno scelto di mettersi all’inseguimento della volpe di Volturara Appula. La risposta più sensata alla sua posizione è arrivata comunque da Stefania Craxi. “Che un ex presidente del Consiglio come Giuseppe Conte arrivi a definire ‘guerrafondaia’ la linea di un governo che sta dando attuazione a un piano di sostegni internazionali, concordato con alleati e partner, è paradossale”, avverte la presidente della Commissione Affari esteri e difesa del Senato. Per Craxi, con la definitiva piroetta degli ultimi mesi, la nuova linea dei Cinquestelle appare chiara, “sempre più orientati a barattare la responsabilità politica e l’affidabilità internazionale del Paese con una dose massiccia di demagogia a buon mercato”. Non c’è molto altro da aggiungere.
Giornalista, direttore di Libertà Eguale e della Fondazione PER. Collaboratore de ‘Linkiesta’ e de ‘Il Riformista’, si è occupato di comunicazione e media relations presso l’Ufficio di Presidenza del Consiglio regionale del Lazio. Direttore responsabile di Labsus, è stato componente della Direzione nazionale di Cittadinanzattiva dal 2000 al 2016 e, precedentemente, vicepresidente nazionale della Fuci. Ha collaborato con Cristiano sociali news, L’Unità, Il Sole 24 Ore, Europa, Critica Liberale e Democratica. Ha curato il volume “Riformisti. L’Italia che cambia e la nuova sovranità dell’Europa” (Rubbettino 2018).