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Gli effetti dei dazi di Trump sull’Italia

Marco Leonardi lunedì 13 Gennaio 2025
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di Marco Leonardi

 

Molti economisti stanno discutendo degli effetti dei futuri dazi di Trump. Ma questo che implicazioni avrebbe per l’Italia e per il nostro modello di sviluppo largamente basato su poche e forti imprese esportatrici? Trump è convinto che l’ormai più che trentennale deficit commerciale dell’America sia un segno di debolezza e vuole mettere delle tariffe in modo da ridurre il deficit commerciale degli Stati Uniti ovvero la Cina, ma anche il Messico, il Canada e l’UE, all’interno della quale la Germania e l’Italia hanno i surplus più importanti.

Ci aveva provato nel 2016 con le tariffe mirate su pochi specifici beni, sull’acciaio e l’alluminio, sui beni tecnologici di cui aveva ostacolato gli scambi soprattutto con la Cina.  Già allora non era riuscito a ridurre il deficit commerciale degli USA: si erano ridotte le importazioni ma ancor più le esportazioni e alla fine il saldo commerciale era più negativo di prima, ed è relativamente semplice capire perché. Il deficit commerciale è semplicemente lo specchio del fatto che gli Stati Uniti consumano e investono più di quanto producono e quindi devono importare dall’estero la differenza sotto forma di importazioni nette. Questo deficit commerciale non si ridurrà, a meno che gli Stati Uniti non smettano di consumare e investire più di quanto producono. Ma non c’è nessun segnale del fatto che vogliano consumare di meno, anzi, se proprio vogliamo dire, c’è il segnale contrario: i consumi e investimenti privati stanno crescendo e se Trump e ridurrà le tasse andranno ancora più forte; ed è da escludere che la nuova amministrazione sarà capace di controbilanciare tale tendenza attraverso un aumento dei risparmi pubblici, anzi, è probabile che l’attuale deficit sul PIL (6.7% nel 2024) continui ad aumentare. È quindi probabile che – esattamente come è successo otto anni fa – la strategia delle tariffe non ridurrà il deficit commerciale complessivo degli Stati Uniti.

Questo però non esclude però che, come vasi comunicanti, le esportazioni di alcuni paesi verso gli Stati Uniti potrebbero ridursi per via delle tariffe mentre altri paesi potrebbero approfittarne. Ancora una volta esattamente quello che è successo dopo il 2016: le esportazioni cinesi negli USA sono diminuite, ma sono aumentate quelle di Messico e Vietnam e anche, molto, quelle italiane. Adesso però, diversamente da allora, Trump vorrebbe imporre dazi uniformi su tutte le importazioni, maggiori in Cina (del 60%) e minori sugli altri paesi (del 10%), per ridurre il deficit commerciale di tutti quei paesi che esportano di più negli Stati Uniti, compresa l’Italia.

Veniamo quindi a quello che può succedere nel nostro paese che, ricordiamo, è il quarto o quinto esportatore mondiale: il nostro export vale più di 600 miliardi all’anno di cui ben 67 nei confronti proprio degli Stati Uniti da cui invece importiamo solo 25 miliardi di merci. Oggi gli USA costituiscono il secondo mercato di esportazione più grande per le merci italiane dopo la Germania. Noi esportiamo negli Stati Uniti soprattutto macchinari (12 miliardi), farmaceutica (8 miliardi), auto e altri mezzi (11 miliardi), alimentari (4). Non è semplice calcolare gli effetti solo sulle esportazioni italiane perché bisogna tenere conto non soltanto dell’effetto diretto delle tariffe di Trump ma anche del fatto che la Cina risponderebbe con tariffe equivalenti e così farebbero gli altri paesi. Secondo questo modello, (https://camadashboards.shinyapps.io/TrumpPolicies/) se Trump mettesse il 60% di tariffe sulle importazioni cinesi e il 10% su tutti gli altri paesi e tutti gli altri paesi rispondessero, l’Italia perderebbe il 4% di tutto il valore del suo export manufatturiero (2% in beni durevoli e 2% in beni non durevoli). Ovviamente anche gli altri paesi compresi gli Stati Uniti ci perderebbero, perché le catene del valore della manifattura sono tutte interconnesse, ma l’Italia ci perderebbe di più dato il suo alto livello di export.

È possibile che Trump applichi prima le tariffe alla Cina e poi a Messico e Canada e risparmi la UE, in questo caso l’Italia ci guadagnerebbe, anche se solo temporaneamente. Quando si parla di dazi, ed è parzialmente già successo nel 2016, la tentazione è sempre quella di ricercare l’esenzione di un singolo prodotto o addirittura di una singola impresa, la festa di tutti i lobbisti.

Ma non bisogna farsi illusioni e verrà anche il turno dei dazi sulle esportazioni europee. E, ammesso e non concesso che all’interno dell’UE saranno le esportazioni tedesche il principale obiettivo di Trump, questo non sarebbe comunque di conforto per noi, perché sembra difficile trovare un bene tedesco a cui applicare una tariffa che non vada a penalizzare anche l’Italia, a partire dalle automobili. Da questo punto di vista la tentazione della Meloni di giocare in proprio, con accordi bilaterali Italia-Usa, per concordare dazi che danneggino il meno possibile il solo commercio italiano sembra essere inutile se non dannosa. Il punto vero sarà, ancora una volta, studiare una efficace risposta europea.

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