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di Giovanni Matteo Centore

 

Gli esiti delle recenti elezioni europee rispecchiano appieno le linee di tendenza registrate negli ultimi anni dalle consultazioni nei singoli Paesi membri.

 

Elezioni europee: un nuovo paradigma

Da più parti, e senza non poche ragioni, si è evidenziato come questa tornata fosse la più importante dall’introduzione dell’elezione diretta del Parlamento Europeo.

Per la prima volta nella storia, il paradigma culturale e politico che ha ispirato il processo di integrazione è entrato in crisi ed ha lasciato spazio ad un terreno di retorica nazionalpopulista che ha prospettato un’alternativa praticabile.

L’integrazione europea, come la società aperta e la piena affermazione dei principi della democrazia liberale, sono stati presentati non più come conquiste da difendere, ma come scelte, ed in quanto tali, revocabili, perché non convenienti.

Una narrazione efficace che ha prodotto un avanzamento delle forze nazionalpopuliste, sebbene non così significativo da renderle maggioritarie nel nuovo Parlamento. Il cui quadro politico fotografa in modo chiaro la progressiva trasformazione e riorganizzazione della rappresentanza, conseguenza di più fattori: la inesorabile crisi delle forze tradizionali; la crescita di soggettività nuove, la cui proposta si è incentrata intorno a temi molto avvertiti (es. il cambiamento climatico); l’incremento elettorale delle forze antisistema.

Un quadro che ci consegna un dato di straordinaria novità che influirà profondamente sugli assetti dell’Unione. Quella che sta per iniziare sarà la prima legislatura in cui le due principali famiglie politiche, quella popolare e quella socialista, avranno bisogno dell’apporto di altri gruppi per formare una maggioranza.

Le possibili opzioni assicurano tutte una maggioranza chiaramente pro europeista, da quella che comprende Popolari, Socialisti e Democratici, Alde a quella che si allarga ai Verdi.

Non può sfuggire, tuttavia, che qualsivoglia maggioranza presenterà un rischiosissima eterogeneità culturale e programmatica. Al minimo comun denominatore dell’Europa si associa infatti una distanza di merito, su molti punti significativa, tra le forze politiche in questione.

Eppure si può intravedere lo spazio per un’opportunità.

Fino a che punto ed a quando una santa alleanza potrà arginare la penetrazione culturale, prima ancora che elettorale, dei nazionalpopulisti nella società europea?

Il terreno più favorevole perché questa preoccupazione possa assumere concreta consistenza è lasciare tutto come è, arroccarsi allo status quo, immaginare che la strada da perseguire sia ancora quella del “funzionalismo”, che ha prodotto importanti risultati nei primi quarant’anni di vita dell’Unione, ma che presenta gravi limiti da almeno un quindicennio.

Negli anni Novanta, i due successi simbolo dell’Unione, ossia l’introduzione della moneta unica e l’allargamento, non sono stati accompagnati e completati da una più approfondita integrazione, che prevedesse, da un lato, una politica fiscale comune e, dall’altro, una nuova strategia geopolitica verso l’Est.

 

Europa: opportunità e contraddizioni

Nel tempo, l’Europa è stata fonte di opportunità, ma anche di contraddizioni.

Da un lato, ad esempio, è stato il soggetto grazie al quale milioni di persone hanno conosciuto la più significativa espansione della tutela e del riconoscimento dei diritti e delle libertà fondamentali, ben oltre le garanzie concretizzatesi attraverso l’attuazione delle stesse Costituzioni nazionali.

Dall’altro, è stato un soggetto incapace di garantire i principali diritti sociali, posti peraltro alla base della sua Carta dei Diritti, e di organizzare una risposta adeguata alla più profonda e grave crisi economica dal 1929.

Oggi, l’Unione si colloca in quella condizione “tra il non può più e il non può ancora”. Più alto è quindi il pericolo di avventure reazionarie.

I comportamenti elettorali confermano quanto i cittadini scelgano in base a quelle che considerano le priorità del momento (il fenomeno migratorio, il clima, la precarietà), più che in ordine ad una visione organica di società. E, soprattutto, avanza forte la rivendicazione di un ritorno ad essere decisori del proprio destino.

Tali fenomeni vanno inquadrati dentro una dinamica più ampia che investe la funzione dello Stato, come lo abbiamo conosciuto fin qui. Esso è da tempo oggetto di profonde trasformazioni e mutamenti nei suoi elementi costitutivi.

Cambia il concetto tradizionale di sovranità: oggi non c’è campo della vita associata che sia disciplinato esclusivamente dagli ordinamenti statali. I tentativi di un recupero di quella forma, si vedano gli esempi della Brexit e della Catalogna, sono miseramente falliti, generando un caos senza precedenti.

Cambia il concetto di popolo, fortemente condizionato e trasformato da una poderosa mobilità fisica e virtuale.

E cambia il concetto di territorio, in un contesto nel quale la geografia funzionale prevale su quella fisica e politica.

Questo non comporta di certo la rinunzia ad un’esigenza di statualità, ma impone la formazione di un nuovo modello che preservi i caratteri di democraticità, separazione dei poteri e tutela dei diritti.

 

Verso gli Stati Uniti d’Europa

E’ dunque l’ora di un salto di qualità, è l’ora di restituire agli interessi ed ai conflitti una dimensione politica. Che la religione della stabilità monetaria e istituzionale si laicizzi dentro il più consistente processo di democratizzazione e socializzazione dell’Unione.

Negli anni cinquanta del Novecento, quando l’Europa è nata, la sua popolazione era più del doppio di quella africana. Negli anni cinquanta di questo secolo, la popolazione africana sarà il triplo di quella europea.

Negli anni Novanta, quando è stata varata la moneta unica, l’Europa e gli Stati Uniti America costituivano il 45% dell’economia mondiale, mentre i Paesi del BRICS (Brasile, Russia, India, Cina, Sudafrica) il 17%. Oggi, questi ultimi costituiscono il 33% dell’economia mondiale ed i primi il 30%. In venti anni, è avvenuto il sorpasso.

Basterebbero questi dati a farci riflettere sull’urgenza di una svolta politica e democratica del processo di integrazione, per approdare ad un compiuto modello di sovranità europea.

Gli Stati Uniti d’Europa non possono e non debbono restare una formula retorica, ma l’orizzonte d’impegno di generazioni.

Come ci ricorda Marco Piantini, in una recente intervista a Linkiesta: “L’Europa è il perimetro della sovranità, dell’economia, della cultura, dei diritti. È il nostro spazio, che non è la globalizzazione, ma è il nostro spazio dentro il mondo globale.

 

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