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Grazie Padoan. Perché l’applauso della Leopolda

Vittorio Ferla giovedì 25 Ottobre 2018
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di Vittorio Ferla

 

Venerdì scorso a Firenze, la platea della Leopolda ha tributato una lunga ovazione a Pier Carlo Padoan.

 

Un’ovazione per Padoan

Un caloroso tributo all’impegno dell’uomo e ai risultati raggiunti con il suo lavoro. È anche grazie all’opera di Padoan, ministro dell’Economia nei governi Renzi e Gentiloni, che l’Italia si era ripresa, con appena 100 punti di spread, conti pubblici in buona salute, un milione di posti di lavoro in più, una sostanziale diminuzione delle imposte e una serie di misure di assistenza sociale tra le quali il reddito di inclusione.

Un panorama radicalmente diverso rispetto allo scenario rovinoso – per le ricadute sull’economia e per il logoramento dei legami comunitari – nel quale stiamo precipitando in queste ore a causa della manovra sovranista del governo gialloverde.

Perché in un paese a straripante maggioranza populista un uomo come Pier Carlo Padoan raccoglie un consenso così profondo e sentito? Proprio lui – uomo dei numeri, delle statistiche e dei parametri comunitari – che incarna il perfetto rappresentante di quelle élite liberali oggi tanto detestate dai populisti? I “bloodless technocrats”, come li ha definiti, in un recente articolo per l’Economist, Richard V. Reeves, senior fellow alla Brookings Institution. Qual è il motivo di questo paradosso?

 

L’emersione del populismo contro i valori liberali

Nei paesi occidentali, la competizione per il potere tra i partiti politici ha visto il conflitto tra idee diverse, ma sempre attraverso processi democratici di decision-making. I parametri liberali hanno garantito benessere e prosperità: la libertà di parola e di espressione, il capitalismo fondato sul mercato, il libero commercio tra le nazioni unito ad alti livelli di cooperazione internazionale e di welfare nazionale. Certo, c’erano differenze (e divisioni) profonde tra i leader progressisti e i leader conservatori. Ma non erano conflitti letali. Al punto che, per esempio, in Europa, socialisti e popolari collaboravano nel nome di un ideale politico e simbolico comune.

Oggi è tutto cambiato. I sistemi politico-istituzionali democratici e lo Stato di diritto sono messi in questione. Le pratiche e il modello della democrazia liberale sembrano passate di moda. All’odio contro le élite si unisce quello contro le fondamenta della stessa cultura liberale. La sfida dei populisti è feroce. Confrontata con la capacità attrattiva dei leader populisti, le classi politiche liberali appaiono appunto come “bloodless technocrats”. I populisti agitano spettri e risentimenti, alzano mura di confine e alimentano pulsioni sovraniste. I liberali rispondono con discorsi ben calibrati, posizioni prudenti, position paper, statistiche corrette, tesi argomentate, ecc. Insomma, per dirla ancora con Richard V. Reeves, “i liberali appaiono come professorini ben vestiti e pettinati in una scazzottata al bar”.

 

L’Italia laboratorio del populismo

In questo quadro, l’Italia è diventata il laboratorio principe del populismo. Negli anni ’90, a partire da Tangentopoli, ha anticipato il trumpismo con l’affermazione di Silvio Berlusconi. Oggi, il governo gialloverde – con maggioranza schiacciante – sembra voler seppellire definitivamente l’Europa moderna, democratica e liberale: per farlo si rivolge a Putin, mentre aspira a diventare il riferimento dell’internazionale sovranista sognata da Bannon. Una parte importante della sinistra tradizionale, scioccata dalla fuga del proprio voto tradizionale verso Lega e M5S e vittima di un atteggiamento subalterno, si è messa all’inseguimento dei populisti sul loro stesso campo, flirtando a volte con Fico e altre volte con Bagnai.

Questa deriva, tuttavia, non può stupire: l’Italia, a differenza di altri paesi del mondo occidentale, soffre una carenza storica di cultura liberale. Basti ricordare quali subculture abbiano dominato la nostra vita pubblica nel Novecento: dalla tragedia del ventennio fascista al consociativismo tra comunisti e democristiani nel corso della Prima Repubblica. Insomma: salvo alcuni rari esponenti, difficile trovare una classe dirigente liberale nella storia recente del nostro paese.

Il populismo economico e sociale della maggioranza legastellata non deve dunque soprendere. Esso è in qualche modo erede di quella cultura della spesa scriteriata rivolta alla cura del consenso e alla costruzione di molteplici rendite – piccole e grandi: dall’irresponsabilità dei dipendenti pubblici al malcostume dei baby pensionati – che hanno provocato l’esplosione del debito pubblico. Quella stagione di redistribuzione spartitoria – con la sua perversa logica consociativa – oggi riemerge come una fenice nel contratto di governo dei gialloverdi. Motivo sufficiente per affermare che non siamo affatto di fronte ad un governo del cambiamento, ma, viceversa, ad un governo di conservazione, ritorno al passato e restaurazione. Inoltre, la battaglia sul bilancio innescata dai populisti italiani con Bruxelles potrebbe creare danni enormi all’economia del paese.

In più, il populismo italiano del XXI secolo si presenta con un’aggravante pericolosa sul piano giuridico e istituzionale: la progressiva aggressione al patrimonio di valori liberali e democratici costitutivi, determinato dai limiti costituzionali (nazionali ed europei), dalle regole condivise (interne e internazionali) e dall’operato indipendente delle istituzioni di garanzia (dalla Consob all’Istat, dall’Inps al Ubp, fino addirittura alla Presidenza della Repubblica). Questo disprezzo per il diritto e per le istituzioni ci porta ad un passo dal precipizio delle democrazie illiberali.

 

L’applauso per Padoan…

Di fronte a questo quadro sconcertante – che annuncia la retrocessione dell’Italia sul piano economico e politico – l’appaluso rivolto dalla platea della Leopolda all’ex ministro Padoan parla chiaro. È il riconoscimento della bontà di una politica liberaldemocratica che, nelle condizioni date – il famoso ‘sentiero stretto’ -, ha fatto il possibile per garantire all’Italia crescita ed equità. Senza dimenticare il boicottaggio sleale e sistematico della sinistra ideologica interna al Pd e il necessario compromesso con quella porzione di fuoriusciti del centrodestra che pure garantiva una maggioranza fragile.

Come ha spiegato Robert V. Reeves sull’Economist, “alle sue radici, il liberalismo è una filosofia che mira alla redistribuzione del potere in ambito economico, sociale e politico. I liberali devono battersi dalla parte e per i senza potere, gli svantaggiati della società e dell’economia. Per questo motivo i liberali vogliono mercati, liberi, competitivi e giusti”. L’impegno di Padoan è stato sostanzialmente questo, per quanto insufficiente. In tutto il mondo occidentale, i liberali e i progressisti sono stati lenti a riconoscere i divari sociali crescenti e forse troppo paurosi di proporre soluzioni radicali specialmente in termini di redistribuzione del benessere. Questo ha aperto uno spazio ai populisti. In Italia questo fenomeno è stato particolarmente evidente.

 

…e le politiche liberali per garantire crescita ed equità

E se è vero che i liberali devono vigilare in modo permanente contro quelle manipolazioni dei mercati che avvantaggiano gli interessi costituiti e le posizioni di rendita, bisogna riconoscere che i governi Renzi e Gentiloni (con Padoan ministro) hanno lavorato duro per questo obiettivo.

Qualche esempio?

  • Con il Jobs Act hanno cercato di superare le rigidità del mercato del lavoro per favorire gli outsiders rispetto ai garantiti.
  • Con il mantenimento della Fornero, salvo piccoli aggiustamenti, hanno puntato sulla equità intergenerazionale, cercando di garantire un futuro a quei giovani che già oggi devono sopportare il peso di un debito pubblico esploso anche a causa di politiche pensionistiche troppo allegre nel passato.
  • Con la Buona scuola hanno cercato di ricalibrare le istituzioni scolastiche sul loro vero core business che è la formazione e l’ingresso nel lavoro degli studenti italiani (ovvero del capitale umano del nostro paese), troppo spesso dimenticato a vantaggio della protezione dei lavoratori della scuola fortemente sindacalizzati.
  • Con il Reddito di Inclusione, sulla base della migliore esperienza redistributiva del welfare europeo, hanno messo in campo per la prima volta uno strumento per garantire condizioni di vita dignitosa agli indigenti.
  • Con il rispetto dei parametri europei ha tutelato i risparmi degli italiani e creato le condizioni per attrarre gli investimenti internazionali nel nostro paese.

Si poteva fare di più? Certamente si. Ma si poteva fare anche di peggio, come dimostra oggi la folle politica populista. Inoltre, appare evidente la reazione dei conservatori affezionati allo status quo contro queste misure.

Tutto questo oggi è chiaro e per questo la Leopolda ha riconosciuto a Padoan (e quindi a Renzi) ciò che meritava.

 

 

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