Mentre aspettiamo di vedere se la minaccia espansionistica sulla Groenlandia metterà in discussione la linea decisa a Bruxelles di non alzare la voce con il nuovo presidente americano nella speranza di costruire buone relazioni, e mentre Donald Trump Jr. arriva nella capitale della Groenlandia, Nuuk, Jessica Karl di
Bloomberg ironizza: “Le probabilità che Trump, un uomo che nega ripetutamente l’impatto del riscaldamento globale, convinca 57.000 residenti a cantare allegramente ‘The Star-Spangled Banner’ sono piuttosto basse” (
https://www.bloomberg.com/…/trump-wants-to-make…). Sempre su Bloomberg, il columnist Andreas Kluth liquida le dichiarazioni di Trump come “provocazioni” che resuscitano il peggio della politica mondiale: “No, non invaderà Panama, non conquisterà la Groenlandia, né annetterà il Canada. Ma abbandonerà i principi per il potere e dividerà il globo in sfere di influenza”.
“Come afferma il presidente panamense José Raul Mulino, in un modo che le sue controparti canadesi e danesi approverebbero: ‘La sovranità e l’indipendenza del nostro paese non sono negoziabili’. Così affermano la lettera e lo spirito del diritto internazionale, incluso un trattato (ratificato dal Senato degli Stati Uniti nel 1978) nel caso panamense, e più in generale la carta delle Nazioni Unite, così come redatta e firmata dopo la seconda guerra mondiale sotto lo sguardo benevolo degli Stati Uniti. Tutti i presidenti americani da allora, tranne Trump, hanno accettato i suoi principi come palesemente buoni e favorevoli all’interesse nazionale dell’America. Il sistema risultante è quello che Washington ha a lungo definito l’ordine internazionale “liberale” o “basato sulle regole”. Per quanto imperfetto, si sforza di bilanciare la forza con il diritto, gli interessi con i valori e il realismo con l’idealismo.
Con le sue provocazioni, Trump sta ancora una volta lasciando intendere che disdegna questa definizione più ampia, seppur astratta, degli interessi americani, e che intende invece emulare piuttosto che opporsi a personaggi come Putin e Xi, che parlano il linguaggio della forza bruta e delle sfere di influenza. Quindi se la prende con tre paesi dell’emisfero occidentale, considerati sotto il dominio di Washington da quando James Monroe proclamò la sua dottrina due secoli fa. Se c’è un segnale per Mosca e Pechino, potrebbe essere che Trump asseconderà le allucinazioni su “l’unità storica di russi e ucraini” o teorie equivalenti sullo stretto di Taiwan, finché, vicino casa, potrà parlare in modo eclatante e portare un grosso bastone”.