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Ha ragione Gentiloni: partiamo dall’opposizione che c’è

Marco Campione mercoledì 12 Giugno 2019
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di Marco Campione

 

Lunedì Paolo Gentiloni, commentando i risultati dei ballottaggi, ha scritto su Facebook una riflessione che sarebbe sbagliato lasciar cadere nel vuoto. Pur partendo da una analisi che non condivido del tutto (semplifico i suoi due punti sui quali dissento: «al PD è andata bene» e «i 5S sono fuori dai giochi»), nella parte di proposta dice due cose che vanno in una direzione diversa da quella che paventavo in un mio commento a caldo ai risultati. Io scrivevo che l’argomento «è tornato il bipolarismo» usato da alcuni esponenti dem serviva a preparare il terreno per un accordo con i pentastellati. Gentiloni dice invece una cosa diversa e che -se ne ho ben interpretato le sfumature- nella sostanza condivido.

«Si torna al bipolarismo, ma non sarà più quello di una volta. […] Centrodestra contro centrosinistra, dunque. Come ai vecchi tempi? No, quasi tutto è cambiato. Per noi, che dobbiamo promuovere una coalizione competitiva senza che ciò sia reso inevitabile da un sistema maggioritario che non c’è più e senza che sia facilitato dall’esistenza di forze e culture politiche che aspettano di essere coalizzate. Il Pd non è autosufficiente, ma la coalizione nazionale che lo affiancherà non è già pronta». E guardando al Centrodestra aggiunge: «Ma tutto è cambiato anche per il centrodestra. La prevalenza del nazionalismo estremista di Salvini che oggi appare un grande vantaggio può tradursi nel giro di pochi mesi in un limite o perfino in un ostacolo per un centrodestra largo e vincente».

 

Le due anime della nuova maggioranza PD.

Il punto in cui a parer mio Gentiloni si differenzia dal disegno di una parte dell’attuale maggioranza PD è nella conclusione della sua riflessione: «La direzione di marcia è comunque chiara: promuovere una coalizione ampia partendo dall’opposizione al governo nazional populista e dalle nostre idee per l’Italia di domani». Dove il passaggio chiave è partendo dall’opposizione al governo. Non dice, come hanno fatto altri della maggioranza che sostiene Zingaretti, cose del tipo partendo dalle coalizioni civiche che hanno vinto in molti comuni, ma correttamente (visto che si parla di scenari politici e non amministrativi) di opposizione al governo nazionale.

Forse mi illudo, ma semplificando io la vedo così. Nella maggioranza che ha vinto le primarie 2019 si sono saldate due «anime» del PD: chi ha come obiettivo principale quello chiudere i conti con la stagione di Renzi e non gli interessa governare in un segno analogo, che è quello della modernizzazione, dell’avversione alle rendite, dell’attenzione al lavoro e alla crescita della centralità delle politiche per l’istruzione e la formazione. Per questo fine, sono pronti a stare all’opposizione o a governare con chiunque (anche con i 5S o -come in passato- con governi cosiddetti tecnici) prescindendo dal «programma». La seconda anima è invece quella di chi legittimamente pensava che per tornare a governare con idee anche analoghe a quelle di quella stagione, fosse necessario chiudere simbolicamente con il cosiddetto renzismo. Con una battuta, non c’è spazio qui per argomentare, si sono unite le forze di chi voleva rottamare il renzismo per scelta e chi per necessità. 

Io penso che tutti coloro che credono nella necessità di riprendere i fili interrotti della stagione delle riforme della scorsa legislatura (anche quelli che oggi non sono più nel PD) hanno tutto l’interesse che la seconda anima comprenda prima possibile che il «patto della Piazza Grande» fosse sbagliato perché fondato su un presupposto sbagliato, ovvero che fossero maturi i tempi di un «riformismo libdem senza Renzi» pur in assenza di un leader alternativo.

Se non mi sbaglio e questa seconda anima esiste, Gentiloni appartiene certamente ad essa.

 

Il cosiddetto “centro”: un modo vecchio per toccare un problema nuovo.

Forse mi illudo, dicevo, e io sto travisando il pensiero di Gentiloni, la seconda anima non esiste; ma in quel caso il misunderstanding suggerisce un’altra strada a chi in quella maggioranza congressuale non si riconosce (alcuni si sono perfino spinti ad uscire dal partito per questo). Per tracciarne la rotta mi serve abbozzare in premessa un ulteriore elemento di analisi. Tutta la discussione degli addetti ai lavori sul cosiddetto “centro” è un modo vecchio per toccare un problema nuovo (la scomparsa di una specifica “lente” per leggere e interpretare la realtà e proporre soluzioni) e che Polito sul Corriere di martedì prova a collocare in alcune coordinate di cultura politica “ridimensionate fino alla irrilevanza”: l’ambientalismo, il liberalismo e il solidarismo cattolico. Agli amici  di +Europa (che pure ho votato e sostengo) dico: non basta autoproclamarsi come espressione di quella cultura politica per essere riconosciuti come tale dagli elettori. Bisogna agire per creare le condizioni per un cambiamento dello scenario politico. Al contrario, cattolici e liberali di Forza Italia, libdem e riformisti del PD, +Europa e Verdi fanno, mi sembra, errori speculari, pur condividendo (mi sembra) una prospettiva comune. Errori che probabilmente nascono da un vecchio vizio del circuito politico mediatico: analizzare la fase politica pensando agli schieramenti e non agli elettori. Era sbagliato in tempi di forte inerzia del comportamento elettorale, lo è maggiormente nella fase attuale caratterizzata da una mobilità senza precedenti.

Errori che portano quell’area «centrista» (uso anche io il termine mediatico per semplificare il ragionamento) che oggi è dispersa in più partiti e nell’astensione a stare ferma; e quel progetto a non crescere.

 

Come sparigliare? Una modesta proposta.

Bisogna sparigliare perché così non va, ma anche perché il messaggio arrivi forte e chiaro agli elettori. Senza pensare che ci siano detentori del verbo e con la consapevolezza che individuata la cultura politica di riferimento, senza una leadership forte e una classe dirigente adeguata che la incarnino non si va da nessuna parte. E per questo ci vuole tempo e strumenti che facciano da “palestra per la leadership”. E il post di Gentiloni dal quale sono partito ci fornisce (forse suo malgrado, non lo voglio tirare per la giacchetta) un’idea interessante: partire dall’opposizione che c’è, unirla in Parlamento e darsi uno strumento per parlare al Paese e selezionare una classe dirigente. Si può fare? Uno strumento per raggiungere questi obiettivi, tipico della cultura anglosassone e mai praticato per davvero in Italia, esiste: il governo ombra. Controindicazioni? Molte, a cominciare dal fatto che non è mai stato praticato in Italia… E poi potrebbe portare parti di Forza Italia, se costrette a scegliere tra PER e CONTRO il governo, a optare per il fronte governativo. Può essere, ma almeno si sarà fatta chiarezza. E il big bang di cui la politica italiana ha bisogno ci sarà solo se scatenato dall’esigenza di fare chiarezza. E chissà (io ne dubito vista la natura di quel partito) che a quel punto il big bang non riguardi anche i 5S.

Mentre scrivo leggo su Twitter uno scambio interessante tra Falasca (+Europa) e Calenda (PD). Se son rose fioriranno, ma è un altro indizio che “yes, we can”.

P.S.: A futura memoria. Quasi tutti gli attori danno per scontato che siamo in un sistema proporzionale. Io penso, al contrario, che uno degli errori commessi dal centrosinistra alle ultime politiche sia stato quello di non sfruttare a sufficienza la parte maggioritaria della legge elettorale vigente. Ma di questo avremo tempo di parlare.

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1 Commenti

  1. Euro Perozzi mercoledì 12 Giugno 2019

    Continuo a pensare che si ragioni molto in termini di leadership, sicuramente necessaria e fondamentale, ma ora il 37% di Salvini indica che abbiamo un problema di contenuti.
    I contenuti sono quella cosa che i veri leader sanno leggere e sopratutto interpretare nel sentiment.
    Ricordiamoci cosa indica il 37%…. indica qualcosa che non vogliamo vedere perché sappiamo di non avere una risposta….

    Rispondi

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