di Enrico Morando
Il Documento di Economia e Finanza (DEF) è un testo assai corposo, che si è venuto progressivamente appesantendo anche a causa di un gran numero di allegati (almeno otto, secondo la vigente legge di contabilità). Ma, andando all’essenziale, esso è costituito da due scarne tabelle: il quadro di finanza pubblica tendenziale a legislazione vigente e il quadro di finanza pubblica programmatico (entrambi, riferiti almeno al triennio successivo). Le centinaia di pagine che precedono e seguono queste due tabelle servono solo a dare ragione dei numeri scritti nella prima e nella seconda.
Con la tabella “a legislazione vigente“ il Governo in carica dice al Parlamento, agli organismi dell’Unione Europea, ai cittadini: nei prossimi tre anni-se io Governo e la mia maggioranza parlamentare non esistessimo e, quindi, tutte le leggi di spesa e tutte le leggi di entrata restassero esattamente come sono oggi- queste sarebbero le grandezze di finanza pubblica. Con la tabella “programmatica“ il Governo in carica -che intende restare in carica-, dice agli stessi interlocutori: poiché io esisto e non accetto gli esiti che si determinerebbero lasciando inalterata la legislazione di spesa e quella di entrata, modificherò l’una e l’altra, al fine di conseguire gli obiettivi fondamentali del mio programma.
Nel DEF presentato al Parlamento da Giorgetti e Meloni la tabella di finanza pubblica programmatica non c’è: la giustificazione addotta dal Governo è che -al momento della stesura del DEF- non sono ancora completati gli atti di regolazione secondaria relativi al nuovo Patto di stabilità. Ma, senza la tabella programmatica, il DEF non ha il contenuto previsto come necessario dall’art. 10 della vigente legge di contabilità pubblica. Per questo, penso che i Presidenti di Camera e Senato dovrebbero rinviarlo al Governo, chiedendogli di fare una scelta tra queste due opzioni: o integra il documento con la tabella degli obiettivi programmatici, o afferma formalmente che la tabella programmatica di finanza pubblica coincide quest’anno con quella a legislazione vigente. Non esiste una terza via. Per rendersene conto, non c’è bisogno di ricorrere a lunghe citazioni della legge di contabilità, esplicita nell’affermare che il quadro di finanza pubblica programmatico è un contenuto necessario del DEF (articolo 10, comma due, lettera e) ed f) della legge n. 196 del 2009). Basterà richiamare l’art. 125 bis del regolamento del Senato, che afferma: “Essa (la discussione in Aula sul DEF n.d.a.) deve comunque concludersi entro 30 giorni dal deferimento con la votazione di una proposta di risoluzione…“. Una risoluzione nella quale il Parlamento (Camera e Senato votano separatamente, ma su risoluzioni sostanzialmente identiche) impegna il Governo a presentare una legge di bilancio pluriennale che consegua obiettivi di finanza pubblica quantitativamente definiti (tra gli altri, anche il saldo netto da finanziare e il saldo di cassa del settore statale). Ora, la questione è semplice: poiché la risoluzione parlamentare sul DEF è lo strumento attraverso il quale il Parlamento -sulla base delle proposte avanzate dal Governo- fissa le linee sulle quali si deve muovere l’intera sessione di bilancio, come potranno i pur volenterosi parlamentari della maggioranza predisporre un testo di risoluzione che si apra con l’indicazione di queste linee, se il testo del DEF del Governo non le contiene?
Non si può rispondere: lo faranno con la NADEF, tra fine settembre e metà ottobre. Perché la Nota di aggiornamento del DEF ha la funzione di aggiornare alla mutata (rispetto ad aprile) situazione ciò che è scritto nel DEF. Non può ovviamente modificare ciò che nel DEF non c’è.
Se il lettore pensa che, in fondo, sia una questione di lana caprina, buona per le discussioni nel linguaggio esoterico degli specialisti di finanza pubblica, farà bene a ricredersi: la tabella programmatica per il 2025 e successivi manca non perché tarda la regolazione più minuta del Patto europeo (per la stesura del DEF, basta e avanza la regolazione primaria del nuovo Patto), ma perché è estremamente impegnativo, politicamente, indicare le scelte di bilancio capaci di rendere compatibili gli obiettivi sul livello del deficit e del debito e il finanziamento, per il 2025 e successivi, del taglio al cuneo fiscale e contributivo sul lavoro; che nella “legislazione vigente” è finanziato solo per l’anno in corso (ma è stato “presentato” ai milioni di beneficiari come una scelta permanente. Anzi, addirittura come il “primo passo“ verso una riduzione strutturale più forte).
Il Governo francese, che si trova di fronte ad un problema analogo, anche se non identico, sembra orientarsi verso una impegnativa fase di revisione della spesa. Non saranno rose e fiori: ridurre strutturalmente la spesa può essere più difficile che aumentare le tasse, anche in un Paese a pressione fiscale elevatissima come la Francia. Ma il Governo Meloni faticherà ancora di più, perché ha sbagliato l’anno scorso: non si riduce il cuneo fiscale per un solo anno, sperando in una nuova proroga della sospensione del Patto…
Presidente di Libertà Eguale. Viceministro dell’Economia nei governi Renzi e Gentiloni. Senatore dal 1994 al 2013, è stato leader della componente Liberal dei Ds, estensore del programma elettorale del Pd nel 2008 e coordinatore del Governo ombra. Ha scritto con Giorgio Tonini “L’Italia dei democratici”, edito da Marsilio (2013)