di Danilo Di Matteo
I drammatici fatti del Brasile confermano e mostrano con molta chiarezza quelle che a me paiono le tre colonne del populismo. Il quale, dunque, andrebbe concepito come una sorta di tavolo con tre gambe. Ciascuna di esse, da sola, non ne spiega appieno motivi e manifestazioni.
Il primo ingrediente è la demagogia. Già gli antichi scorgevano in essa una degenerazione della democrazia. Se la democrazia si nutre del consenso, la demagogia offre risposte ai problemi effimere e inefficaci, volte, appunto, a ottenere consenso con facilità.
Il secondo è la revoca di fiducia da parte di tanti cittadini nei confronti delle istituzioni e, più in generale, della classe dirigente, dell’establishment, come si suol dire. L’affievolirsi di tale fiducia risale, da noi, a tanti decenni fa. Guardiamo da molto tempo, ormai, con un atteggiamento, insieme, scettico e cinico a tutto ciò che ha a che fare con il potere, nelle sue varie e mutevoli forme. Del resto, nelle grandi democrazie occidentali spesso meno della metà dei cittadini si reca alle urne. Si tratta, per dir così, di una dimensione verticale: è in ballo, infatti, soprattutto il rapporto tra governo (in senso lato) e governati.
Il terzo ingrediente è la delegittimazione dell’avversario, che diviene nemico. Hostis, come dicevano i romani: vale a dire nemico pubblico. Neppure questo è un aspetto inedito. In Italia, ad esempio, le maggiori forze politiche avevano condiviso l’esperienza della Costituente, scrivendo insieme la Carta fondamentale dello Stato. Tuttavia non si può dire, poniamo, che in occasione delle elezioni politiche del 18 aprile 1948 il Fronte popolare e la Dc si riconoscessero appieno, come converrebbe in una sana democrazia liberale. I due “blocchi” tendevano, insomma, a delegittimarsi reciprocamente. E che dire delle elezioni successive, quelle del ’53, caratterizzate dall’aspra contesa sulla “legge truffa”, che coinvolgeva anche le espressioni più mature della cultura liberale? E qui, come si intuisce facilmente, siamo al cospetto di una dimensione soprattutto “orizzontale”, riguardante i rapporti tra i soggetti politici.
Ecco, dal connubio fra tali tre ingredienti, o “colonne”, emerge compiutamente il populismo. E i suoi esiti, anche drammatici, sono sotto i nostri occhi.
Psichiatra e psicoterapeuta con la passione per la politica e la filosofia. Si iscrisse alla Fgci pensando che il Pci fosse già socialdemocratico, rimanendo poi sempre eretico e allineato. Collabora con diversi periodici. Ha scritto “L’esilio della parola”. Il tema del silenzio nel pensiero di André Neher (Mimesis 2020), Psicosi, libertà e pensiero (Manni 2021), Quale faro per la sinistra? La sinistra italiana tra XX e XXI secolo (Guida 2022) e la silloge poetica Nescio. Non so (Helicon 2024) È uno degli autori di Poesia e Filosofia. I domini contesi (a cura di Stefano Iori e Rosa Pierno, Gilgamesh 2021) e di Per un nuovo universalismo. L’apporto della religiosità alla cultura laica (a cura di Andrea Billau, Castelvecchi 2023).