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di Danilo Di Matteo

 

Paolo Ricca, teologo valdese, è morto a 88 anni a Roma nella notte tra il 13 e il 14 agosto. I funerali si sono svolti a Torre Pellice il 17 agosto. Ospitiamo un ricordo del nostro collaboratore Danilo Di Matteo

 

«Tutte queste e molte altre iniziative sociali promosse da singoli o piccoli gruppi di protestanti curano efficacemente i mali della società, senza però mettere in discussione l’assetto di quest’ultima. Ma altri protestanti, soprattutto metodisti, svolsero un ruolo determinante nella nascita delle prime organizzazioni sindacali sia dei lavoratori rurali (già nel 1834, poi nel 1872), sia dei minatori (1888), nonché nella formazione del Partito Laburista (1900), il cui ispiratore, organizzatore e primo presidente fu J. Keir Hardie (1856-1915), un protestante convinto che vedeva nel socialismo la trasposizione sociale del cristianesimo nell’era industriale». Così scriveva in un’opera del 1997, per me oggetto di studio per un esame, il pastore e teologo Paolo Ricca, a lungo docente di Storia della chiesa alla Facoltà valdese di Teologia, appena scomparso. Alla finezza del teologo, infatti, egli univa il rigore e la linearità dello storico. Non amava le astruserie.

Incontrai l’intensità del suo sapere e la forza della sua fede grazie a un libretto di poche pagine, quanto mai prezioso: “Il cristiano davanti alla morte”. Ascoltiamone un passaggio: «Nella Bibbia il discorso su Dio non è collegato alla paura di morire ma alla responsabilità di vivere». E la risurrezione non va confusa con la sopravvivenza, sosteneva Ricca. Gesù risorge perché è l’uomo nuovo; e ciascuno di noi è chiamato a cambiare vita, divenendo una persona nuova e sconfiggendo così la morte. «La risurrezione significa che la morte non è eterna e la morte significa che la vita non è eterna. Solo la vita nuova è eterna». E restano scolpite nella mia memoria le parole da lui pronunciate nel gennaio 2008, in occasione di una conferenza sull’ecumenismo. Disse, ad esempio, che il cristianesimo si fonda sulla pluralità: si pensi ai due Testamenti biblici, ai quattro Vangeli, agli Apostoli.

In seguito, grazie a uno scambio epistolare, mi spiegò che l’espressione “diversità riconciliata” nacque come sintesi della proposta avanzata dall’Assemblea Mondiale della Federazione Luterana che si tenne in Brasile nel 1990, nel solco della Scrittura e dell’unità cristiana concretamente praticata e vissuta dalle chiese nel I secolo.

E naturalmente conservo con cura il testo da lui preparato per il Natale del 2020, in pieno lockdown pandemico. Evocava il film di Roberto Benigni “La vita è bella” e aggiungeva: «È sempre bella, la vita, per quanto – come ben sappiamo – sia anche attraversata da tanta infelicità, da dolori e sofferenze causate da miseria, malattie, ingiustizie, oppressioni, violenze, malvagità, lutti, guerre, fame, solitudine, e l’elenco potrebbe continuare; ma pur in mezzo a tutto questo, resta vero che la vita è bella, anche quando è difficile, anche quando è ferita. Sì, la vita è bella nelle sue diverse forme, modalità e versioni: è bella la vita terrena, quella provvisoria e caduca, però è bella lo stesso, da bambino, da giovane, da adulto, da vecchio, sì anche da vecchio è bella (ve lo dice un vecchio!)». E ancora: «nulla è più bello sulla terra di una vita spesa nell’amore degli altri».

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