di Pietro Ichino
Restano irrisolti i nodi cruciali in materia di assistenza ai poveri – ovvero “occupabilità” e “condizionalità” – mentre sul contratto a termine si ripropone la tecnica normativa fondata sul “causalone”, che può avere il solo effetto di tornare a gonfiare il contenzioso giudiziale
Il decreto-lavoro che il Governo si appresta a varare per celebrare la Festa del Lavoro, nella versione del 29 aprile di cui dispongo, è composto da 43 pagine formato A4, per un totale di 31 articoli, cui se ne aggiungerà probabilmente qualche norma finale nella versione definitiva. Le dimensioni del testo legislativo non sarebbero di per sé un difetto, se non fosse che ciascuno di questi articoli è di lettura difficilissima anche per gli specialisti della materia. E il risultato del loro innesto nel quadro della legislazione precedente è quello di un aumento complessivo della difficoltà di lettura.
Gli articoli da 1 a 13 sono dedicati al sussidio contro la povertà, che d’ora in poi si chiamerà Assegno di inclusione, cioè a quello che negli anni recenti si è chiamato via via Sostegno per l’Inclusione Attiva (SIA), Reddito di Inclusione (ReI), Reddito di Cittadinanza (RdC). Siamo dunque al quarto nome in meno di un decennio, per un istituto che nella sostanza è sempre lo stesso, sia pure con variazioni della relativa disciplina. Anche questa instabilità lessicale contribuisce alla difficoltà di comprensione e applicazione della legge.
I due nodi più rilevanti da sciogliere, in questa materia, erano quello della nozione di “occupabilità” di chi beneficia del sussidio e quello della “condizionalità” del beneficio; ma su nessuno dei due il decreto fa un solo passo avanti. Andrebbe salutato positivamente il fatto che il godimento del beneficio da parte degli “occupabili” sia condizionato alla frequenza di un corso di formazione, se non fosse che la nozione di “occupabile” resta avvolta nella nebbia e che il decreto non dedica una parola al controllo circa la qualità ed efficacia dei corsi di formazione che dovrebbero essere frequentati. Quanto alla condizionalità, essa resta imperniata sulla nozione di “offerta congrua di lavoro” (articolo 9), nonostante che sia stato da tempo evidenziato e spiegato come e perché nessuno in Italia abbia mai perso il sussidio per il rifiuto di una “offerta congrua”. Questo decreto produrrà certamente una riduzione della quantità di denaro spesa per questa forma di assistenza, ma non ne migliorerà il meccanismo.
Gli articoli da 14 a 17 e l’articolo 27 contengono modifiche delle norme vigenti per la sicurezza del lavoro, e in particolare di attività dell’Ispettorato Nazionale del Lavoro (INL) in materia antinfortunistica. Chi li ha redatti sembra però non essersi accorto che l’INL, istituito con il decreto n. 149/2015, ancora non esiste perché a otto anni di distanza quel decreto è inattuato e gli ispettori dell’Inps continuano a essere una repubblica autonoma rispetto agli ispettori ministeriali e a quelli dell’INAIL.
Gli articoli da 18 a 22 spostano disponibilità finanziarie tra alcuni fondi e modificano la disciplina di alcune sanzioni (ok; ma era proprio necessario collocarli nel bel mezzo di un decreto che dovrebbe interessare soprattutto alle persone in stato di bisogno e ai lavoratori, dunque essere leggibile soprattutto da loro?).
L’articolo 23 modifica la disciplina del contratto a termine con dei ritocchi di questo o quel comma contenuto in norme precedenti. Con grande difficoltà sono arrivato a capire che le modifiche sono queste:
– viene conservata la disciplina attuale che consente l’assunzione a termine senza “causale” per un massimo di 12 mesi;
– si prevede che la determinazione delle “causali” per una maggior durata del rapporto a termine sia affidata ai contratti collettivi, i quali dovranno provvedere entro la fine del 2024;
– in attesa che questi vengano stipulati, si ripropone un “causalone” analogo a quello che era previsto dal decreto n. 368/2001: “esigenze di natura tecnica, organizzativa o produttiva”.
Il Governo sembra non aver messo a fuoco che in questa materia le “causali” generiche previste dalla legge, e ancor più quelle previste dai contratti collettivi, servono soltanto a gonfiare il contenzioso giudiziale, dunque sono utili principalmente agli avvocati, aumentando il loro lavoro, ma quanto più sono generiche tanto meno pongono limiti efficaci a tutela dei lavoratori e delineano un quadro chiaro entro cui le imprese possano compiere le proprie scelte. In un primo tempo era parso che su questa materia il Governo fosse intenzionato a tornare alla tecnica legislativa adottata nella legge n. 92/2012 e nel decreto n. 81/2015 (Jobs Act), che avevano prodotto una drastica riduzione del contenzioso su questa materia, senza peraltro allargare indebitamente le maglie della disciplina; avevo dunque salutato molto positivamente quella scelta. Ma poi si è preferito tornare alla tecnica delle “causali”: molto lavoro in vista per i consulenti.
L’articolo 25 modifica la disciplina dell’informazione dovuta ai lavoratori circa la disciplina del rapporto di lavoro, a norma della assai rigorosa direttiva europea 2019/1152, consentendo che il relativo obbligo venga assolto mediante il rinvio al contratto collettivo applicato. È prevedibile l’apertura a Bruxelles di una procedura di infrazione contro l’Italia per questa nuova norma, che sembra eludere l’obbligo di informazione analitica e di trasparenza della disciplina applicata istituito dalla direttiva.
L’articolo 26 rafforza, ma soltanto per la seconda metà dell’anno 2023, l’incentivo economico all’assunzione di giovani. Quali effetti può avere una misura come questa, destinata a durare poco più che un semestre e a cessare prima che la gran maggior parte degli imprenditori si sia accorta della sua esistenza?
Gli ultimi articoli contengono disposizioni de minimis, che non meritano di essere menzionate, salvo l’aumento a 15.000 euro annui del limite massimo delle retribuzioni pagabili mediante voucher per il lavoro occasionale nei settori “dei congressi, delle fiere, degli eventi, degli stabilimenti termali e dei parchi divertimento”, previsto dall’articolo 30. Un po’ pochino – mi sembra – per far cadere l’approvazione di questo decreto proprio nel giorno della Festa del Lavoro, invitando i lavoratori a far festa per il suo varo.
Editoriale per la Nwsl n. 586, 1° maggio 2023 (in riferimento alla bozza del decreto-legge disponibile al 29 aprile) – Qui il link ai post del Primo Maggio dell’ultimo quindicennio
Già senatore del Partito democratico e membro della Commissione Lavoro, fa parte della presidenza di Libertàeguale. Ordinario di Diritto del lavoro all’Università statale di Milano, già dirigente sindacale della Cgil, ha diretto la Rivista italiana di diritto del lavoro e collabora con il Corriere della Sera. Twitter: @PietroIchino