di Carlo Fusaro
I ministri del governo Meloni (non i “ministeri” come scrive perfino l’ANSA: ignoranti!) sono 24 (oltre alla presidente e al sottosegretario alla presidenza del consiglio): quelli con portafoglio (cioè a capo di una grande amministrazione pubblica con budget proprio e personale) sono 15 (come nel governo Draghi). Di questi, 12 sono uomini e solo tre donne; quelli senza portafoglio (che – su delega della presidente del Consiglio sovrintenderanno a uno o più dipartimenti della presidenza, senza dotazione finanziaria o di personale propria) sono 9 (mai tanti dal 1994), di cui tre donne. Quindi le donne sono in totale 6 su 24, oltre naturalmente alla presidente del consiglio: quella è indiscutibilmente la grande novità. Ora solo la presidenza della Repubblica non ha vista eletta ancora una donna. Vedremo quanto si dovrà aspettare.
Secondo i dati di “You trend” l’età media è ben 60 anni. 10 ministri sono di FdI, 5 ciascuno di Lega e FI, gli altri e le altre risultano “indipendenti” (fin qui senza adesione partitica). Dal punto di vista dell’estrazione regionale cinque sono laziali e cinque lombardi, tre piemontesi, tre veneti, due emiliano-romagnoli, due campani, due pugliesi, uno ciascuno per Friuli, Sardegna e Sicilia. Undici regioni e province autonome non hanno ministri (non è un problema: né può diventarlo dato che il numero complessivo dei ministeri e dei componenti del governo è fissato dalla legge (attualmente 65). Sessantacinque perché ci sono anche viceministri e sottosegretari che saranno nominati dal Consiglio dei ministri quanto prima: e lì ci sarà di sicuro un qualche riequilibrio territoriale.
Osservazioni:
1) Meloni aveva un compito difficile (come tutti i presidenti del Consiglio), ma facilitato dal fatto di guidare un partito cresciuto dal 4 al 25%: quindi con un gruppo dirigente originario necessariamente piccolo; qualcuno avrà deluso ma certo meno di precedenti presidenti del Consiglio (e anche meno dei suoi soci Salvini e Berlusconi);
2) Come è stato subito osservato, i senatori sono tanti: ben nove (sette i deputati e otto i non parlamentari). Permanentemente in missione (o quasi), concorreranno a ridurre i quorum ma non garantendo la presenza, la maggioranza di Meloni dovrà stare ben attenta al Senato dove i suoi numeri sono relativamente ristretti (115 sicuri su 200 + senatori a vita). Ci vorrà molta attenzione nella scelta dei sottosegretari dove immagino una prevalenza di deputati…
3) I non parlamentari sono (utilmente, perché non devono concorrere in alcun modo ai voti nelle due Camere) otto. Alcuni sono stati in Parlamento in passato: Alessandra Locatelli (Lega) che si occuperà di disabilità (ed è stata già ministra nel Conte I°, gialloverde), Giuseppe Valditara (accademico e esperto di questioni universitarie, che sarà ministro dell’istruzione), e primo fra tutti Guido Crosetto (già fondatore di FdI con La Russa e Meloni, già parlamentare in quattro legislature, sottosegretario e “uomo forte” del nuovo Governo). Altri sono “società civile”, per c.d.: il manager Andrea Abodi (presidente del Credito sportivo) che di sport e giovani si occuperà; la dottoressa Marina Elvira Calderone che è la presidentessa del consiglio nazionale dell’Ordine dei consulenti del lavoro e che si occuperà appunto di lavoro e politiche sociali; il giornalista dottor Gennaro Sangiuliano già consiglio d’amministrazione RAI e direttore di giornali che farà il ministro della cultura; l’altro accademico professor Orazio Schillaci, rettore della Università di Roma Tor Vergata e medico che sarà il successore di Speranza, ministro della salute; il prefetto Matteo Piantedosi che va all’interno e ha il limite, per c.d., di aver affiancato senza esercitare benefica influenza Salvini nella sua pessima (per me) prova da ministro nello stesso cruciale dicastero.
4) Neodeputato ma uomo nuovo è l’ex magistrato Carlo Nordio, da molti anni opinionista ascoltato sulle materie che riguardano la giustizia. Si può non essere d’accordo su talune sue analisi e terapie (io confesso però di esserlo, per lo più), ma è certo uno dei fiori all’occhiello del governo; senza dire che aver messo alla giustizia uno/a non suggerito da Berlusconi è già gran cosa di suo.
5) C’è una serie di parlamentari italiani ed europei di lunga lena: dal ministro degli esteri Antonio Tajani (la faccia presentabile di Forza Italia), già presidente del Parlamento europeo a Giancarlo Giorgetti (la faccia presentabile in Europa della Lega con fama di persona equilibrata e pragmatica) che dovrà raccogliere la dura eredità di una personalità della competenza di Daniele Franco (Banca d’Italia) all’economia; ad Adolfo Urso (l’iperatlantico presidente uscente del prestigioso e delicato Comitato parlamentare sui servizi segreti (“per la sicurezza della Repubblica”); a Matteo Salvini che non abbisogna di presentazione e che avrà modo di mostrare le sue capacità concrete alle infrastrutture e mobilità (attenzione: sotto la sua egida ci sarà la Guardia costiera…); ad Anna Maria Bernini, fedelissima di Berlusconi, già ministra per qualche mese nel 2011, con alla spalle una modesta carriera accademica (diritto pubblico comparato), figlia d’arte (il padre fu ministro di Berlusca nel 1994), cui tocca l’università (ed è un peccato che non se ne possa occupare Valditara che vanta una competenza specifica); alla vivace Daniela Santanché, esperta di marketing e imprenditrice, personalità del piccolo jet-set italiano e socia di Briatore, che si occuperà (con qualche competenza, va ammesso) di turismo; allo stimatissimo Roberto Calderoli cui è sfuggita la presidenza del Senato (per la quale sarebbe stato qualificato assai) che si occuperà di Affari regionali e autonomie, roba di cui sicuramente si intende: ma meglio ancora avrebbe potuto fare riprendendo il tema delle riforme istituzionali: andate invece all’ex presidentessa del Senato Alberti Casellati dalla quale è difficile attendersi molto; all’ex giovane rampante Dc, poi popolare, poi berlusconiano, poi FdI, già ministro più volte, parlamentare italiano ed europeo, già presidente della Regione Puglia (recentemente sconfitto da Emiliano) che si occuperà di affari europei: Fitto può vantare di aver appartenuto a non meno di dodici (12) partiti diversi dell’area moderata e di destra; a Sebastiano (Nello) Musumeci, politico catanese di lunghissimo corso, già presidente della regione Sicilia, già uomo di governo, già parlamentare europeo che si occuperà di Sud e mare.
6) C’è infine una serie di donne e uomini più o meno nuovi dei quali al momento non si può dire molto e che vanno attesi alla prova: il ministro dell’ambiente Gilberto Pichetto Fratin (commercialista e insegnante di materie economiche nei licei); il ministro dell’agricoltura Francesco Lollobrigida (politico integrale, laureato in giurisprudenza, pronipote di Gina, marito della sorella della presidente del Consiglio Meloni); il ministro per i rapporti col parlamento Luca Ciriani (altro politico integrale, laureato in lettere, fratello del sindaco di Pordenone); il ministro della P.A. (successore dell’ottimo Brunetta) Paolo Zangrillo (manager e fratello di Alberto, medico personale di Berlusconi); la ministra Eugenia Roccella che va alla Famiglia, giornalista, figlia del leader radicale Franco ma con idee molto molto diverse sui diritti civili. Aggiungo la già citata ex presidentessa dei Consulenti del lavoro che avrà da risolvere grane svariate, a partire dalla stabilizzazione del sistema pensionistico conciliando prospettive dei giovani ed equità sociale: io penso che basterebbe riapplicare integralmente la legge Fornero, ma sappiamo che la maggioranza ha idee diverse, ben più rischiose. L’augurio è che le follie inglesi insegnino qualcosa.
7) Nel complesso pericolosi sovversivi e sovversive non se ne vedono. Tanta gente da vedere alla prova. Certo: alcuni di destra come più destra non si può (Sangiuliano, Santanché, Roccella). Di buono c’è l’impressione che Meloni sia ben conscia dei vincoli stretti che a ogni singolo paese sono oggi imposti dalla consapevolezza che le sfide difficili (mercati, energia, guerra, pandemie) si possono affrontare solo nel quadro europeo ed atlantico. Tanto più quando si ha un debito come il nostro. Ridurlo sarebbe la vera manifestazione della sovranità possibile! Il rischio (ma lo vedo al momento come un rischio limitato nelle sue conseguenze negative) è che Meloni cerchi di affermare l’identità del suo governo con manifestazioni propagandistiche: qualche traccia c’è nei nomi nuovi dei ministeri e delle deleghe ai senza portafogli: vabbé che Agricoltura e sovranità alimentare c’è anche in Francia, ma che sta a significare (per esempio il condono delle sanzioni sulle quote latte ai furbi?); e Ambiente e sicurezza energetica, al posto di Transizione energetica vuol dire che degli obiettivi che pure ci siamo impegnati a perseguire non si parla più? Istruzione e merito: un bel segnale, consideriamolo una buona intenzione (con qualche scetticismo derivante dal passato lontano e recente di tutti i colori politici: ultimo a provare a far qualcosa il governo Renzi e mal gliene incolse: remember “la buona scuola”?); Sud e mare: tutto da scoprire. Bene la delega specifica per la Disabilità. Perplessità scontate per Famiglia, natalità e pari opportunità (al terzo ed ultimo posto).
Sintesi conclusiva: a me sembra che il vero pezzo forte del Governo sia Meloni. Le serviranno spalle larghe.
P.S. Nessuno dica che la legge elettorale – stavolta – non abbia funzionato. E’ ad essa che si deve, insieme alla nuova offerta politica e alle scelte degli elettori del 2022, se abbiamo un governo in tempi lampo. Dall’esterno, da posizioni assai diverse mi auguro che duri. E che permetta agli italiani fra tre quattro cinque anni di giudicarlo per quel che avrà o non avrà fatto e come.
Presidente del Comitato scientifico di Libertà Eguale. Già professore ordinario di Diritto elettorale e parlamentare nell’Università di Firenze e già direttore del Dipartimento di diritto pubblico. Ha insegnato nell’Università di Pisa ed è stato “visiting professor” presso le università di Brema, Hiroshima e University College London. Presidente di Intercultura ONLUS dal 2004 al 2007, trustee di AFS IP dal 2007 al 2013; presidente della corte costituzionale di San
Marino dal 2014 al 2016; deputato al Parlamento italiano per il Partito repubblicano (1983-1984).