di Pietro Ichino*
Il degrado diffuso della lingua italiana conseguente al degrado del suo insegnamento agli adolescenti produce un allargamento delle disuguaglianze economiche e sociali
Non è un lapsus sfuggito nel corpo dell’articolo: compare – martedì 24 maggio – ben evidenziato nella fascia giallo-blu con cui si aprono le pagine interne di Repubblica in onore alla resistenza del popolo ucraino. Tema: il sussidio che l’Agenzia per il Lavoro tedesca erogherà ai profughi ucraini disoccupati.
Il beneficio è condizionato all’ottenimento del permesso di soggiorno, ma il concetto viene espresso così: “Prerogativa sarà avere un permesso di soggiorno”. Il redattore cui è affidata una delle pagine centrali di uno dei nostri due quotidiani italiani maggiori, dunque, non conosce il significato della parola “prerogativa” che confonde con “presupposto”, o “requisito”. E nessun altro in redazione se ne accorge.
Al basso grado di conoscenza della lingua italiana delle nuove leve di giornalisti (anche della Rai) ormai ci stiamo abituando: oggi è normale incontrare sui nostri giornali il verbo “paventare” usato al posto di “prevedere”, il participio “inerente” come voce di un verbo transitivo, o l’aggettivo “reticente” per significare “riluttante”.
È il risultato di una scuola media – inferiore e superiore – che ha abdicato alla propria funzione: i ragazzi privi di genitori che conoscano l’italiano restano ignari della differenza tra “prerogativa” e “requisito”. Restano, conseguentemente, menomati nella capacità non solo di esprimersi, ma anche di leggere e capire.
E questo – don Lorenzo Milani insegna – è il torto peggiore che una società può fare alla parte più povera e debole dei propri cittadini. Un torto cui le forze politiche che hanno a cuore la giustizia sociale dovrebbero reagire esigendo controlli rigorosi sull’efficienza e l’efficacia della scuola pubblica, ponendo il diritto dei ragazzi all’apprendimento al primo posto.
Sinistra e sindacato, invece, pongono al primo posto l’inamovibilità dei professori, la loro protezione contro lo stress del controllo sull’efficacia del loro insegnamento. Così nelle nostre scuole è normale che un’intera classe sia privata dell’italiano solo perché l’insegnante non sa insegnarlo, o egli stesso lo conosce male.
*Editoriale telegrafico per la Nwsl n. 567, 30 maggio 2022 – In argomento v. anche il mio editoriale telegrafico del 6 dicembre 2021, Se la nostra lingua a scuola non si insegna più
Già senatore del Partito democratico e membro della Commissione Lavoro, fa parte della presidenza di Libertàeguale. Ordinario di Diritto del lavoro all’Università statale di Milano, già dirigente sindacale della Cgil, ha diretto la Rivista italiana di diritto del lavoro e collabora con il Corriere della Sera. Twitter: @PietroIchino