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di Carlo Fusaro

 

Continua il dibattito sulla riforma della legge elettorale. Pubblichiamo la replica di Carlo Fusaro a Pasquale Pasquino. Trovate i precedenti articoli qui (Fusaro) e qui (Pasquino).

 

Caro Pasquale,

come ti ho anticipato alcuni giorni fa, nutro grande rispetto per gli argomenti tuoi e di altri amici con i quali abbiamo condiviso decenni di battaglie maggioritarie, oggi persuasi che completare la svolta proporzionalistica figlia del fallimento del 2016 sia una sorta di dolorosa temporanea necessità. Uno di voi, che ha oggi responsabilità politiche dirette e sostiene il progetto Brescia (proporzionale integrale con sbarramento al 5%), mi ha detto: «sia comunque chiaro che per noi dev’essere Dunquerque, non Caporetto». In altre parole una ritirata strategica per evitare guai peggiori e salvare le truppe, non una rotta (del resto, dopo Caporetto, perfino l’Italietta fu capace prima dell’eroica difesa sul Piave e poi della vittoria).

Vado subito al dunque. Il vostro argomento principe è uno, e uno solo: che somiglia terribilmente a quello contrappostoci per tanti anni e per tante volte dai fautori conservatori del proporzionalismo. Suona così: il maggioritario è un lusso che l’Italia non si può permettere. Perché è un paese troppo diviso e conflittuale, perché si rischia che vadano al potere le forze antiregime, perché occorre staccare i socialisti dai comunisti, rompendo il Fronte popolare. Aggiornato, suona così: perfino i brandelli residui di maggioritario (i tre ottavi di seggi assegnati a chi prende più voti in collegi uninominali) avvantaggiano oggi le destre unite egemonizzate da Salvini, si rischia così che vada al potere una destra antieuropeista che gioca col fuoco e mette a repentaglio i fondamenti della politica estera e del nostro impegno, sancito anche dalla Costituzione, per l’integrazione europea come scelta di destino nazionale, solo la proporzionale può liberare Forza Italia dall’alleanza con Salvini e Meloni e può ridimensionare il temuto successo in seggi dell’uomo del Papete obbligandolo alle solite defatiganti negoziazioni postelettorali o, se la sorte aiuta, tenendolo fuori dal governo; evitando all’Italia gli sconquassi terribili e il certo impoverimento che verrebbe da un’espulsione o uscita all’euro e forse dall’Ue. Oggi come fino alla caduta del muro di Berlino, il maggioritario non ce lo possiamo permettere.

Ma maggioritario non è solo una formula elettorale, è una strategia istituzionale che nasce dall’esperienza comparata e ancor più da quella del primo dignitosissimo, ma a partire dagli anni Settanta del tutto inadeguato, nostro secondo dopoguerra: vuol dire elezioni decisive, più potere agli elettori, possibile investitura diretta dei governi, esecutivi maggiormente legittimati e stabili, possibilità di far valere periodicamente da parte deii cittadini che votano la responsabilità politica e l’alternativa. Lussi? Aspirazioni eccessive? Velleitarismi di chi non sa fare i conti con la realtà?

Davvero dobbiamo proclamare, ancora una volta, la nostra impossibilità a costruire una democrazia “normale”? Davvero vogliamo rinunciare a crescere? Davvero non ci resta che perseguire scientificamente maggioranze deboli con premier a caccia quotidiana di una maggioranza e rissosità garantita, anzi consapevolmente voluta? Davvero vogliamo liquidare quel che resta della natura stessa del Partito democratico nato al Lingotto nel 2007? E davvero pensiamo di fare un servizio al paese, inducendoil Pd a tradire se stesso? Davvero pensiamo di fare un servizio alla democrazia italiana consolidando, anzi accentuando una prassi di leggi elettorali apertamente e deliberatamente partigiane varate prima di ogni tornata elettorale?

L’ultima osservazione, fondamentale, che rivolgo agli amici che battono questa strada, è questa: la vendita al diavolo proporzionalista dell’anima maggioritaria (rectius riformista) vale la pena ed è davvero necessaria? Da un lato, infatti è assai probabile che, se l’atteggiamento dell’opinione pubblica non cambia, le destre vinceranno le prossime elezioni con qualsiasi legge elettorale; una legge elettorale a prova di Salvini e Meloni (se confermano alle urne il 45% dei consensi dei sondaggi) non esiste; dall’altro, se anche Berlinguer fece i conti con la Nato non c’è da attendersi che i nostri tardo sovranisti finiranno per fare i conti con l’Unione europea? Ancora: è saggio considerare tutta la Lega un partito antisistema uniformemente votato all’uscita all’euro? Davvero quel gruppo dirigente seguirebbe tutto intero nel baratro i pifferai alla Bagnai e Borghi? Davvero il Berlusconi del PPE li lascerebbe fare? Davvero il Nord produttivo del paese da Torino a Udine si farebbe tagliare fuori dai suoi mercati principali senza colpo ferire?

In definitiva, temo, caro Pasquale e cari amici, che siate vittime di un grande abbaglio il quale, per evitare ciò che considerate il peggio, vi induce a indebolire ulteriormente agli occhi dell’opinione pubblica, minandone la credibilità ed esaltandone la predisposizione agli strumentalismi e al potere a tutti i costi, il campo delle forze riformiste ed europeiste.

Io continuo a pensare che in politica la saldezza di alcuni punti fermi sia nel tempo medio e lungo condizione necessaria di successo: e il riformismo maggioritario è uno di questi.

Con immutata amicizia, tuo Carlo Fusaro

 

 

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1 Commenti

  1. Enrico Morando lunedì 13 Luglio 2020

    C’è un nesso tra proposta di sistema elettorale e linea politica: chi ha in mente L’ “alleanza strategica “ tra PD e M5S vuole il ritorno al proporzionale ( anche con sbarramento alto), perché questa soluzione dà il tempo di “romanizzare” i barbari. Chi pensa sia indispensabile una lunga stagione di governo riformista, vuole far decidere sul Governo gli elettorI. Quindi, vuole il maggioritario.

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