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Il mondo sull’ottovolante dei dazi di Trump

Alessandro Maran sabato 8 Marzo 2025
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di Alessandro Maran

 

Trump ha prima introdotto i dazi, poi li ha sospesi e dopo ripristinati. Oggi, i dazi sulle importazioni canadesi e messicane sono (per lo più) di nuovo congelati, in gran parte posticipati di un altro mese.
Ecco la storia dei dazi del secondo mandato di Trump nel suo svolgimento caotico: il 1° febbraio, Trump ha annunciato dazi del 10% sulle importazioni cinesi e del 25% sulle importazioni dal Canada e dal Messico (https://edition.cnn.com/…/mexico-canada…/index.html). Due giorni dopo, Trump ha sospeso i dazi su Canada e Messico per un mese, in base ad accordi dell’ultimo minuto in cui la presidente del Messico Claudia Sheinbaum e il primo ministro canadese Justin Trudeau “hanno preso impegni, alcuni dei quali già in essere, per rafforzare la sicurezza ai rispettivi confini con gli Stati Uniti”, come riportato dalla CNN (https://edition.cnn.com/…/sheinbaum-trump…/index.html). Una settimana dopo, Trump ha applicato dazi del 25% su tutto l’acciaio e l’alluminio importati, indipendentemente dal paese che li esporta (https://www.whitehouse.gov/…/fact-sheet-president…/).
Questa settimana, senza altri accordi dell’ultimo minuto per scongiurarne l’imposizione, i dazi sulle importazioni canadesi e messicane sono entrati in vigore e Trump ha anche portato al 20% quelli sulla Cina (https://www.reuters.com/…/trade-wars-erupt-trump-hits…/). L’altro giorno, a fronte delle previsioni di un aumento dei prezzi delle auto negli Stati Uniti e delle critiche delle case automobilistiche, Trump ha esentato alcune auto e camion di fabbricazione canadese e messicana, sospendendo l’applicazione delle tariffe doganali su quei veicoli per un mese ( https://www.reuters.com/…/trump-held-call-with-gm-ford…/). La Casa Bianca stava negoziando con Canada e Messico un accordo per evitare dazi in termini più ampi. Questo ci porta a l’altro ieri, quando Trump ha posticipato di un mese i dazi su molte importazioni canadesi e messicane (https://edition.cnn.com/…/tariffs-delay…/index.html).
Il mondo sta iniziando a stancarsi dello stile di governo caotico di Trump, scrive Stephen Collinson della CNN (https://edition.cnn.com/…/trump-canada…/index.html). Questo sorta di colpo di frusta politico, in cui le cose cambiano all’improvviso (come quando, in un incidente d’auto, la testa scatta improvvisamente in un’altra direzione), domina tutto, dal servizio militare transgender alla diplomazia delle superpotenze. Per i detrattori delle politiche economiche di Trump, il tira e molla sulle tariffe è frustrante.
“Benvenuti al giro emozionante sull’ottovolante dei dazi di Trump, dove non si sa mai cosa succederà dopo”, scrive la redazione di The Wall Street Journal (https://www.wsj.com/…/donald-trump-tariffs-uncertainty…), che in precedenza aveva definito quella di Trump “la guerra commerciale più stupida della storia” (https://www.wsj.com/…/donald-trump-tariffs-25-percent…). Anche la temporanea sospensione dei dazi automobilistici nordamericani, secondo i redattori del Journal, è un provvedimento mal concepito, poiché i pezzi di ricambio attraversano i confini nordamericani più volte prima che un’auto venga prodotta, quindi posticipare i dazi sulle auto prodotte per intero non aiuterebbe tanto quanto ci si potrebbe aspettare.
Anche The Economist si è stancato. Riandando alle proposte di tariffe doganali a ruota libera da parte di Trump durante la campagna elettorale dell’anno scorso, che includevano l’ipotesi di dazi superiori al 200% sui veicoli prodotti in Messico, la rivista scrive: “La maggior parte degli osservatori ha liquidato tali esiti come inverosimili. Di certo Trump stava solo facendo tintinnare le sciabole e sarebbe tornato in sé quando il mercato azionario avrebbe registrato la sua disapprovazione? A sei settimane dalla sua presidenza, gli scenari peggiori sembrano fin troppo plausibili. L’idea di una tariffa doganale universale unica, fissata al 10% o al 20%, sarebbe allettante nella sua semplicità, se non altro. Invece, Trump ha iniziato a sommare dazi su dazi in un guazzabuglio di protezionismo” (https://www.economist.com/…/trumps-tariffs-are-worse…).
Oren Cass, economista e fondatore del think tank conservatore American Compass, in un certo senso rappresenta i fondamenti intellettuali delle politiche economiche protezionistiche e interventiste di Trump. Nella sua newsletter Understanding America, Cass ha scritto all’inizio di febbraio che Trump agita le minacce di tariffe doganali per scopi diversi. I dazi sulla Cina sembrano essere un obiettivo politico in sé, mirato a ridurre lo squilibrio commerciale. Trump sembra volerli davvero imporre. Ma le minacce di imporre dazi contro Canada e Messico sembrano riguardare di più la negoziazione, osserva Cas: l’idea è quella di fare pressione su Canada e Messico affinché fermino la migrazione e l’importazione illecita di fentanyl negli Stati Uniti, o facciano altre concessioni, e che i dazi non vengano mai effettivamente applicati (https://www.understandingamerica.co/…/o-canada-time-to…).
Come abbiamo visto, dopo il whiplash di questa settimana, la redazione del Wall Street Journal si interroga su quale sia davvero l’obiettivo del presidente americano, scrivendo: “Trump ha originariamente giustificato i dazi con una legge di emergenza per combattere la presunta minaccia del fentanyl. Ma martedì ha affermato che le tariffe doganali sono necessarie perché ‘paghiamo sussidi al Canada e al Messico per centinaia di miliardi di dollari’ e abbiamo ‘deficit molto grandi con entrambi i paesi’. Sembra il protezionista capo della Casa Bianca (il consigliere senior per il commercio e la produzione) Peter Navarro. Lui e il suo capo amano i dazi come obiettivo in sé. Nel frattempo, la raffica di tariffe doganali sta causando incertezza economica e rallentando gli investimenti: un vero brivido al minuto” (https://www.wsj.com/…/donald-trump-tariffs-uncertainty…).
Su Americas Quarterly, l’editor-in-chief Brian Winter sostiene che Trump ha sempre voluto i dazi sulle importazioni messicane, suggerendo che non sono solo una minaccia ma un autentico obiettivo finale. Trump è stato sia un democratico che un repubblicano, scrive Winter, ma si è scagliato contro i deficit commerciali costantemente dagli anni ’80.

“Per molti osservatori in Messico e altrove”, scrive Winter, il ritorno dei dazi questa settimana (prima del loro successivo parziale rinvio) “è stata la dimostrazione del temuto concetto di ‘delinkage’, l’idea che indipendentemente da quanto Sheinbaum avesse collaborato su questioni bilaterali, l’amministrazione Trump era comunque determinata a portare avanti le principali tariffe doganali. E in effetti, a mezzanotte di martedì, anche dopo una settimana durante a quale il Messico ha accettato di estradare 29 leader di cartelli della droga” e i dati della US Customs and Border Patrol hanno mostrato intercettazioni di migranti e sequestri di fentanyl in calo, “la Casa Bianca ha implementato dazi del 25% sia sui suoi vicini del sud che su quelli del nord” (https://www.americasquarterly.org/…/trump-always…/).

Come il WSJ, Winter evidenzia le successive spiegazioni della Casa Bianca sulle tariffe doganali che non citano né il fentanyl né l’immigrazione, ma piuttosto le perdite di posti di lavoro nel settore manifatturiero degli Stati Uniti. “Sembra davvero una Casa Bianca impegnata nella riorganizzazione all’ingrosso delle relazioni commerciali degli Stati Uniti”, scrive Winter. “Anche se i dazi sul Messico e sul Canada venissero aboliti o abbassati nel giro di pochi giorni o settimane – com’è successo l’altro ieri – la fiducia nell’idea di una supply chain nordamericana integrata è stata ormai danneggiata per sempre, se non distrutta. È difficile pensare che la maggior parte delle aziende faccia investimenti significativi in ​​una struttura economica che può essere gettata in una crisi esistenziale in qualsiasi momento”.
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