di Enrico Morando
Voto con tranquilla convinzione sì al referendum sulla riforma costituzionale che ha ridotto il numero dei parlamentari da 945 (630 deputati +315 senatori) a 600 (400 deputati e 200 senatori).
Voto sì perché il numero dei parlamentari italiani è troppo alto (uno ogni 63.900 abitanti) e va drasticamente ridotto (dopo la riforma, il rapporto salirà ad uno ogni 100.600 abitanti, vicino -anche se sempre più basso-, a quello di Germania, Francia e Regno Unito).
Chiunque, nel corso degli anni, abbia ragionato sopra questo tema, ha sempre concluso -dalla Commissione Bozzi del 1983 fino alla riforma Renzi del 2016, passando per la Bicamerale De Mita-Iotti e D’Alema- che il numero dei parlamentari italiani era troppo elevato ed andava abbassato.
Chi si sveglia nel 2020 e conclude per il contrario -il numero dei parlamentari va benissimo così com’è- certamente sbaglia. Tant’è che nessuno, tra i sostenitori del no, ha il coraggio di farlo: nessuno di loro, se ho capito bene, sostiene che ci vogliano, in Italia, quasi 1000 eletti in Parlamento. Cioè, nessuno sostiene il no al testo puntuale della riforma.
Tutti motivano il loro no con argomenti di contesto: ridurre a 600 andrebbe bene, ma voto no perché le intenzioni dei promotori sono pessime (verissimo). Perché c’è troppa demagogia, e troppo antiparlamentarismo, nelle ragioni di chi ieri ha promosso la riforma e oggi propone il sì (altrettanto vero).
Capisco e non sottovaluto questi problemi di contesto, ma non li reputo capaci di travolgere il positivo che c’è nel testo: abbiamo sempre detto che i parlamentari sono troppi. Il Parlamento -all’unanimità o quasi- li ha finalmente ridotti. È assurdo che ora ci si faccia convincere a votare no solo perché… le intenzioni di Di Maio e compagni -e l’uso strumentale che intendono fare dell’eventuale vittoria del sì- sono pessime e meritano di essere respinte.
Contemporaneamente, penso che la campagna referendaria del sì stia concentrandosi su argomenti che -privilegiando a loro volta il contesto rispetto al testo della riforma- sono certamente sbagliati e rischiano di essere controproducenti. Qualche esempio renderà conto di questo giudizio.
L’errore principe è quello di chi promuove il sì perché verranno approvati i cosiddetti “correttivi“ (la riforma elettorale; il bicameralismo assoluto, eccetera). Vorrei essere chiaro: se davvero pensassi che la riforma che riduce il numero dei parlamentari fosse meritevole del voto sì solo se accompagnata (o addirittura “corretta“) da altre riforme, costituzionali e non, da adottare successivamente, voterei con sicura determinazione no. Se solo i “correttivi “rendono la riforma buona, allora essa è in sé -nel momento in cui voto al referendum-, non buona. Se è il contesto che debbo guardare -i correttivi sono per definizione contesto-, gli argomenti (tutti di contesto) del no mi appaiono più convincenti.
L’altro errore dei sostenitori del sì è quello di enfatizzare inutilmente il significato politico del voto, chiamandolo ad intervenire sulla vicenda (e sul destino) del governo giallorosso e dei partiti che lo sostengono. lo ha compiuto, in particolare, Nicola Zingaretti, secondo il quale il no è un voto “contro“ il PD. Ė un altro argomento controproducente, dal punto di vista del sì. Se debbo guardare agli effetti politico-partitici del referendum, è difficile negare fondamento agli argomenti di chi, votando no, si propone di non rafforzare il successo che il M5S può ottenere, con la vittoria del sì.
Sono personalmente convinto che la presenza di un sì riformista, che sta al merito del quesito, sia più efficace -per contrastare la demagogia grillina-, del no che difende lo status quo e sembra opporsi all’evidenza (i parlamentari sono davvero troppi); ma se si privilegiano gli argomenti -ancora una volta di puro contesto- sugli effetti dell’esito referendario sugli equilibri tra e nei partiti, è difficile negare la forza superiore degli argomenti del no.
Presidente di Libertà Eguale. Viceministro dell’Economia nei governi Renzi e Gentiloni. Senatore dal 1994 al 2013, è stato leader della componente Liberal dei Ds, estensore del programma elettorale del Pd nel 2008 e coordinatore del Governo ombra. Ha scritto con Giorgio Tonini “L’Italia dei democratici”, edito da Marsilio (2013)
Esposizione chiara di Morando che mi conferma la bontà della mia scelta di votare SI.
Anche perché si riduce il numero dei parlamentari e non la funzione del Parlamento.