Con la vittoria delle elezioni regionali di Michele Emiliano e Vincenzo De Luca il Partito democratico si trova al governo di tutte le regioni del Mezzogiorno. Adesso per il Pd non ci sono più alibi per intervenire sul Sud. Ma come si riparte? Da dove?
Gianni Pittella, in un suo articolo sull’Huffington Post, mi ha riportato con la mente alla straordinaria scommessa vinta dalla Germania nella ricostruzione della sua area orientale. Questa storia di successo mi ha ridato la speranza: la buona politica può riuscire ad invertire il corso della storia, ma sono indispensabili idee e coraggio.
Servirà il coraggio di abbattere i confini tra le regioni: senza una politica comune, i cinque governatori del Sud Italia peninsulare non potranno creare un mercato interessante e competitivo. Finché Napoli e Bari non saranno collegate tra di loro non si riuscirà ad aumentare la capacità del mercato meridionale di produrre ricchezza e lavoro. A tal proposito non credo, tuttavia, che sarà sufficiente lo sforzo straordinario del Governo e delle Regioni per spendere tutti i fondi europei per il rilancio delle infrastrutture (in primis banda ultra larga e l’alta velocità).
Il Sud ha bisogno di una classe dirigente in grado di ragionare sull’Europa delle regioni. Dovremo cominciare a lavorare mettendo in rete le nostre qualità per essere all’altezza delle sfide europee. Gli attuali governatori condivideranno il periodo del loro mandato per i prossimi tre anni (nella peggiore delle ipotesi). Di qui la richiesta rivolta a loro in maniera esplicita e stringente di aprire un tavolo di discussione meridionale.
Un tavolo per discutere di cosa? Le priorità del Sud sono state in parte già declinate da Maria Romaniello su questa rivista e condivido pienamente la sua analisi ma, allo stesso tempo, reputo necessario andare oltre i temi “classici” del mancato sviluppo e intervenire con determinazione sulla competitività del Mezzogiorno. Dobbiamo aggredire senza tentennamenti alcuni aspetti che rallentano lo sviluppo. Penso ad esempio al sistema idrico che fa lievitare il costo di un metro cubo di acqua dai 0,16 cent dell’Emilia ai 0,60 cent dell’agro nocerino-sarnese. O anche al mercato assicurativo che rende le polizze auto molto più care al Mezzogiorno. O ancora al mercato del credito che, secondo Bankitalia, non è concorrenziale con il resto del Paese.
A mio avviso, questi tre problemi non possono essere risolti dalle singole regioni: è necessaria una vera e propria strategia di coesione territoriale.
È anche il Sud che deve modificare il proprio approccio alla politica nazionale: bisognerà concertare con il Governo un programma che chiuda una volta per tutte con la stagione dei sussidi a pioggia. Serve, insomma, una vera progettualità. Fino ad ora anche gli sforzi straordinari fatti per spendere i fondi europei hanno portato purtroppo a esiti surreali: la Campania, ad esempio, ha rendicontato lavori già realizzati per evitare la restituzione dei fondi comunitari.
Di fronte a tutte queste difficoltà, il Mezzogiorno subisce una fuga di cervelli e di capitale umano senza precedenti. Nel solo periodo 2001-2013 il 40 per cento del flusso migratorio Sud-Nord ha riguardato i laureati. Un dato estremamente allarmante ed è proprio su questa sfida che si vedrà la capacità del Pd, meridionale e nazionale, di ricostruire nel Mezzogiorno un tessuto sociale all’altezza delle sfide del futuro, con la consapevolezza che consentire al Mezzogiorno di partecipare e di contribuire alla ripresa economica è l’unica garanzia per una crescita sostenibile.
In questo contesto ho letto con favore l’idea di Enrico Morando di una “discriminazione positiva”, in favore del Mezzogiorno e del lavoro femminile, poiché il Pd non è nato per consentire che il lavoro coinvolga solo gli uomini e solo una parte dell’Italia.
Deputato del Partito democratico, è membro della Commissione Attività produttive della Camera. Avvocato, collabora alla cattedra di diritto degli enti locali della Università Federico II di Napoli. Twitter: @leonardoimpegno