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Il Pd non può essere ambiguo sulla politica estera

Umberto Ranieri sabato 15 Marzo 2025
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di Umberto Ranieri

L’invito di Michele Serra a mobilitarsi per l’Europa mi era apparso un richiamo alla gravità della situazione in cui versa l’Unione europea, ad alzare lo sguardo, oltre le aspre dispute politiche che rischiano di soffocarci, a rivendicare di essere italiani ed europei.

L’Unione europea è stato un grande successo storico. È stata la risposta necessaria a drammi storici di immensa grandezza. Oggi l’Europa appare schiacciata tra l’aggressività della Russia di Putin e lo scisma violento di Trump.

Un nuovo nazionalismo si è affermato oltre Atlantico, portando a conclusione il lungo ciclo politico apertosi alla fine della Seconda guerra mondiale. Un ciclo caratterizzato dall’apertura del sistema internazionale e dal suo governo attraverso istituzioni multilaterali. È stato quel ciclo politico che ha consentito agli Stati nazionali europei di avviare il processo di integrazione.

Nel lungo secondo dopoguerra, gli Stati Uniti seppure con importanti differenze tra una presidenza e l’altra, sostiene Sergio Fabbrini, hanno assolto il ruolo cruciale di fornitore di sicurezza all’Europa, sia militare attraverso la loro leadership nella Nato, sia politica attraverso il supporto (non privo di ingerenze) dei processi democratici.

Con Trump quella leadership e quel supporto non sono più assicurati. Così come non c’è più alcuna determinazione americana a contrastare le mire espansionistiche russe ai confini orientali del Continente. Se la sicurezza europea non è più al centro delle priorità militari americane, siamo ad un capovolgimento di approccio, ad un cambio strategico della Nato.

Tutto questo mentre una politica di potenza guida il gruppo dirigente del Cremlino. Lo dimostrano gli interventi in Georgia, in Crimea, in Siria, in Libia. Lo dimostra l’aggressione all’Ucraina. Lo dimostrano due cambiamenti nella dottrina militare russa: la centralità alle armi nucleari tattiche, uso ripetutamente minacciato nella guerra con l’Ucraina, soprattutto dal “buffone di corte” Dmitry Medvedev, e il ricorso a forme di “guerra “non lineare” corrispondenti appunto alla “guerra ibrida” il cui teorico è il generale Gerasimov.

Qui si pone il problema della difesa dell’Europa. Un tema che viene da lontano. Nel 1953 fu lanciato il progetto istitutivo della Comunità europea di difesa. Solo ora possiamo comprendere quanto fu grave bloccare sul nascere, per responsabilità di nazionalisti e stalinisti francesi, quella scelta destinata a rimanere un essenziale anello mancante della costruzione europea.

Oggi, quando l’Europa, svanite le illusioni in cui si è cullata, rischia di restare sola, la questione si pone drammaticamente. Questa la realtà alla quale, di colpo, l’Unione europea è stata messa di fronte, prima dall’aggressione di Putin che ha riportato la guerra in Europa, poi dalle politiche di Trump.

Ecco perché trovo incomprensibile e dannoso sostenere come ha fatto Michele Serra che la proposta della presidente della Commissione europea tesa ad avviare il processo di costruzione della difesa comune, sia “una risposta armigera” che cozzerebbe contro i valori fondanti dell’Europa. Una dichiarazione che fornisce, consapevoli o meno che si sia, un sostegno alle posizioni che si oppongono a che l’Europa si doti di una deterrenza credibile. Mentre avanzano sulla scena figuri che, tra lodi al “pacifismo” di Trump e attacchi al “bellicismo europeo”, agitano una sorta di populismo pacifista per farsi un po’di propaganda a buon mercato.

Colpisce che Elly Schlein, la segretaria del Pd, non abbia inteso che la costruzione di un sistema di difesa comune in una Unione europea di 27 Stati, ciascuno dei quali con diversità nei sistemi militari, comporti una fase intermedia, programmi di armonizzazione di realtà militari storicamente diverse per esperienza e tradizione. Programmi per i quali è previsto che la Commissione si indebiti sui mercati per fornire prestiti agli Stati membri fino a 150 miliardi di euro. Perché ignorare tutto ciò? Perché non continuare a adoperarsi per migliorare la proposta nelle parti che si considerano ancora carenti?

Infine, una parola su un delicato aspetto politico: un partito che nutre l’ambizione di candidarsi a governare il Paese non può permettersi ambiguità sulla politica estera e di difesa. Deve saper affrontare le discussioni anche aspre che comportano le scelte difficili, a volte impopolari. Una sola cosa credo non possa fare: inseguire i ciarlatani, farsi condizionare da loro.

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