di Elisabetta Gualmini
di Elisabetta Gualmini
Perché dobbiamo sempre andare contro, ostinati e contrari, con stizza e con la puzza sotto al naso, al sentimento popolare? Perché farci del male? Io proprio non lo capisco
Non si capisce come sia possibile per il Pd salvarsi la faccia di fronte agli elettori votando prima in modo super compatto la riforma sul taglio dei parlamentari, nell’unica lettura decisiva (la quarta appunto), e poi poco dopo dicendo ci siamo sbagliati, abbiamo dubbi, meglio fare il contrario e votare no. I livelli di fiducia nelle istituzioni e in particolare nei partiti politici sono bassissimi (intorno al 4-5%); a forza di zig zag, giravolte e balbettii riusciremo forse nell’incredibile intento di farli scendere ancora di più. Mentre là fuori, il 21 settembre, la vittoria dei Sì sarà verosimilmente schiacciante.
Almeno siamo sinceri, non ci sono motivi di merito che spingano a votare No a una riforma marginale, circoscritta e che non ha niente ma proprio niente di pericoloso. I motivi dei dubbi, dei dietrofront, dei “sì, però”, sono tutti politici. Primo fra tutti, l’ossessione di colpire il Movimento 5 Stelle, che ha certamente moltissimi difetti, ma che questa volta ha solo il problema di aver detto cose che noi diciamo da una vita. Battiamolo alle elezioni semmai. In secondo luogo, la voglia di contrapporre il purismo al populismo (noi siamo i paladini delle istituzioni democratiche, intoccabili e immodificabili, così come sono ora) e voi gli urlatori e gli sterminatori della rappresentanza. Anche qui, voglia sbagliata e mal riposta.
Sul merito appunto c’è poco da dire. O da aggiungere a quello che stimati costituzionalisti hanno ripetuto in varie sedi (da Ceccanti a Vassallo, da Onida a Fusaro). Il taglio dei parlamentari, anche nelle medesime proporzioni è presente da sempre nelle proposte di riforma del centro sinistra, dalla prima Commissione bicamerale del 1983 alla seconda del 1992, alla terza del 1997.
Nel 2005 è stato il turno del centro-destra ad approvare la riduzione del numero di parlamentari e nel 2007 la Commissione Affari costituzionale della Camera si è mossa nella stessa direzione (Bozza Violante). Nel 2012 arriva il Senato a votare il ridimensionamento dei parlamentari sino al referendum del 2016 che è andato come è andato proprio perché, secondo molti quelli che oggi dicono No al taglio, proponeva una riforma troppo ampia e di sistema e non spacchettabile in diversi punti. Cosa che invece oggi è possibile. Il quesito è unico e puntuale. I 945 parlamentari possono essere ridotti a 600? Sì o No. Punto.
Non si capisce poi perché nel nostro parlamento servano quasi 1.000 parlamentari eletti, quando questo non accade in nessuna parte del mondo, in una fase in cui sono i governi quelli che decidono e propongono le politiche pubbliche e in una fase in cui i parlamenti certamente importanti sono spesso imprigionati in dibattiti circolari e ripetitivi, in discussioni notarili, con diversi decine di pigiatasti completamente sconosciuti che non iscriveranno mai il proprio nome nella storia per le cose fondamentali fatte.
Ci sono poi oggi consiglieri comunali e regionali, nonché parlamentari europei che pure loro dovranno rappresentare i territori. Perché non optare per assemblee parlamentari più compatte e più funzionali, quando è del tutto dimostrato che gli organismi pletorici funzionano peggio?
Ora, il Sì al referendum non rivoluzionerà il funzionamento delle camere, non eliminerà il pluralismo, ma aprirà un varco ad altri cambiamenti possibili; i regolamenti parlamentari, la legge elettorale che potrà eventualmente correggere elementi di disproporzionalità (ma siamo sicuri di voler far entrare in parlamento partitini dell’1-2 per cento?) oltre alle revisioni già incardinate in parlamento, sull’elettorato passivo e attivo del Senato, l’elezione del presidente della Repubblica e altro ancora.
Non vi sono molte alternative; o noi del Pd ci perdiamo nella melassa di un dibattito odioso sui se e i ma, sui forse e sui però, dando per l’ennesima volta l’impressione di una forza politica divisa e che naviga a vista, e dimostrando per l’ennesima volta che noi politici che dovremmo cambiare le istituzioni in realtà dimostriamo che non cambieranno mai, oppure lanciamo il cuore oltre l’ostacolo (un ostacolino sia chiaro), come peraltro ha proposto Zingaretti, e facciamo come abbiamo detto di fare da 40 anni e magari ci intestiamo una riforma che sicuramente gode di un apprezzamento popolare.
Perché dobbiamo sempre andare contro, ostinati e contrari, con stizza e con la puzza sotto al naso, al sentimento popolare? Perché farci del male? Io proprio non lo capisco.
Professore ordinario di Scienza Politica all’Università di Bologna. È stata presidente dell’Istituto Carlo Cattaneo, Visiting Professor in numerose università straniere, ha scritto una trentina di saggi e una decina di libri sul welfare e la pubblica amministrazione. Attualmente è membro del Parlamento Europeo, eletta nelle fila del Pd, e, in quanto tale, componente del gruppo dei Socialisti e Democratici.