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Il Sì è un piccolo passo necessario in vista di altre tappe

Stefano Ceccanti venerdì 11 Settembre 2020
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di Stefano Ceccanti

(per “Toscana Oggi”, 13 settembre)

 

Prima di spiegare le ragioni del Sì vorrei fare una breve premessa articolata su due punti.

 

Premessa

1- Il primo è che discutere di revisioni della Costituzione, è una cosa assolutamente normale e che non deve suscitare obiezioni pregiudiziali. 

La Costituzione repubblicana è il patto che ci unisce. Essa, però, non è immodificabile, contiene anche le norme per poterla adeguare ai tempi, per aggiornare il patto: alcune votazioni del Parlamento con numeri più elevati e tempi più lenti rispetto alle normali leggi. Alla fine, a determinate condizioni, ci può anche essere un referendum per confermare o per opporsi.

Già ci sono state una quindicina di revisioni che hanno riguardato una trentina di articoli su 139.

Fare manutenzione di un edificio complesso non solo è ammissibile, ma, in generale, anche consigliabile; se non la facessimo periodicamente questo patto apparirebbe più debole perché datato, non in grado di rispondere ad esigenze nuove.

2- Il secondo punto è che le persone chiamate a votare con senso civico devono stare attente alla domanda che è loro posta, senza curarsi di schieramenti politici, del votare pro o contro uno o un altro partito. Per quello ci sono le altre elezioni, come le regionali, non il referendum costituzionale.

 

Il quesito e le risposte

Terminata così la premessa, il quesito è chiarissimo: riteniamo che debba restare la cifra di 945 parlamentari eletti direttamente dai cittadini, 630 alla Camera e 315 al Senato, stabilita non dai padri costituenti ma da una riforma del 1963, oppure pensiamo che sia opportuno scendere a 600, di cui 400 alla Camera e 200 al Senato?

A questo punto dobbiamo trovare dei criteri di risposta. Ne vedo due.

1- Il primo è quello di capire se le ragioni che hanno portato a quella scelta nel 1963 sono ancora valide oppure no. Allora il Parlamento nazionale era l’unico livello effettivo di rappresentanza politica generale, sia per l’approvazione di leggi sia come cerniera tra cittadini e istituzioni. Si passava direttamente dalla piccola scala dei Comuni fino a lì, senza niente sopra. Invece nel corso dei decenni abbiamo creato e rafforzato i Consigli regionali ed eleggiamo il Parlamento europeo. La sussidiarietà, principio giustamente tanto caro all’insegnamento sociale della Chiesa, si è espansa sia sotto sia sopra lo Stato nazionale. Possiamo pensare che essa debba solo creare istituzioni aggiuntive senza toccare quelle che ci sono? Non credo.

2- Il secondo è quello di capire cosa stanno facendo i Paesi europei che hanno una grandezza analoga alla nostra. La Francia ha 577 parlamentari eletti per dare la fiducia al Governo, ha visto crescere anch’essa le Regioni oltre che il ruolo dell’Unione europea, e per questo sta pensando di scendere a 404. Il Regno Unito, che ha istituito i Parlamenti regionali in Scozia, Galles e Irlanda del Nord, elegge 650 deputati che danno la fiducia e vuole scendere a 600. In Germania, dove la popolazione è un terzo maggiore della nostra, i seggi fissi dei parlamentari che danno al fiducia al Governo sono 598; per una serie di problemi legati alla legge elettorale ora, alla fine, sono arrivati di fatto ad eleggerne 700 e vogliono mettere un tetto. In Spagna sono eletti e danno la fiducia in 350. Tutto considerato, quindi, una certa discesa da 945 a 600 rientra in una tendenza generale. Lo spiega molto bene il prof. Delle Donne della Scuola S. Anna in un bel volume curato dal prof. Rossi per Pisa University Press.

Personalmente credo che l’aggiornamento dovrebbe riguardare anche altro e che il cambiamento dei numeri è solo un piccolo passo. Però il successo del Sì può dare a tutti coraggio per percorrere altre tappe, altrimenti si bloccherebbe tutto.

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