di Danilo Di Matteo
Non m’intendo di cinema e lascio ad altri esprimersi su quello che per me è un capolavoro: Il sol dell’avvenire, di Nanni Moretti.
Due punti, tuttavia, mi stanno a cuore. Il primo, a proposito della storia che, talora, si può fare con i se: i fatti, innanzitutto, si prestano a mille e mille interpretazioni. E la tragedia ungherese del ’56 da un lato consentì a tante persone di sinistra – da Pietro Nenni ad Antonio Giolitti, fino a Ernst Bloch – di sottrarsi all’ipoteca di Mosca, dall’altro segnò l’inizio di un lento, troppo lento, e faticoso ripensamento generale. E poi non vi sono solo vicende compiute, realizzate, per dir così. Vi sono soprattutto conati, abbozzi, tentativi, vagiti spesso soffocati, pronti talora a riemergere dopo decenni, o destinati a restare in “archivio”. Ecco, la storia è anche un archivio di possibilità, un repertorio del possibile rimasto incompiuto, inespresso. Un promemoria.
Secondo punto: la ripresa del tema ebraico e cristiano della speranza che nasce dal fallimento, nel fallimento. Dalla morte, nella morte. La speranza dei profeti biblici è, letteralmente, una speranza fallita. Ma pur sempre speranza. Del resto, a proposito di Bloch, il suo celeberrimo principio speranza è stato concepito e scritto a una manciata di anni di distanza da Auschwitz e dai campi di sterminio. E che dire, più in generale, del movimento dei lavoratori, nato spesso proprio dalla disperazione? Speranza e disperazione si leggono tante volte nella stessa parola.
E così nel film di Moretti un suicidio si trasforma in un’opera d’arte, un Quarto Stato 2.0, accompagnato, neanche a dirlo, dallo “straccio rosso della speranza”. Mi riferisco qui, naturalmente, alle ultime scene. E se avessero risuonato i versi di Fabrizio De André – “Dai diamanti non nasce niente / Dal letame nascono i fior” – il quadro sarebbe stato forse ancor più bello.
Psichiatra e psicoterapeuta con la passione per la politica e la filosofia. Si iscrisse alla Fgci pensando che il Pci fosse già socialdemocratico, rimanendo poi sempre eretico e allineato. Collabora con diversi periodici. Ha scritto “L’esilio della parola”. Il tema del silenzio nel pensiero di André Neher (Mimesis 2020), Psicosi, libertà e pensiero (Manni 2021), Quale faro per la sinistra? La sinistra italiana tra XX e XXI secolo (Guida 2022) e la silloge poetica Nescio. Non so (Helicon 2024) È uno degli autori di Poesia e Filosofia. I domini contesi (a cura di Stefano Iori e Rosa Pierno, Gilgamesh 2021) e di Per un nuovo universalismo. L’apporto della religiosità alla cultura laica (a cura di Andrea Billau, Castelvecchi 2023).