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Il Sud competitivo nei nuovi assetti euromediterranei

Amedeo Lepore venerdì 31 Maggio 2024
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di Amedeo Lepore

 

Una prospettiva euromediterranea comporta l’apertura a livello nazionale e comunitario di una fase di consistente espansione degli scambi e di solida cooperazione, non solo con l’altra sponda del “mare interno”, ma con i vasti territori del continente africano e del Medio Oriente.

Questa svolta può nascere dalla consapevolezza del ruolo di connessione geostrategica del Sud dell’Italia in un modello inedito, dall’analisi della realtà di un “nuovo mondo” in crescita magmatica, dalla capacità di aggiornamento delle politiche industriali in un orizzonte transnazionale e metanazionale.

La scelta di inserire il “Piano Mattei” all’interno del disegno comunitario del Global Gateway può rendere più credibile l’idea di un intervento coordinato verso l’Africa, seguendo una logica di condivisione tra i Paesi europei e quelli in tumultuosa evoluzione nell’area meridionale del Mediterraneo.

Inoltre, è in virtù di un’ampia sinergia internazionale che si possono compiere azioni efficaci per lo sviluppo, soprattutto nel campo dell’energia, dell’ambiente, delle infrastrutture, dei collegamenti, dell’innovazione digitale e della formazione.

È in tale quadro, poi, che si può fare dell’economia e dei traffici commerciali uno strumento utile per debellare i numerosi conflitti in corso in questa zona cruciale del mondo e ristabilire una pace basata sulle interdipendenze, come sosteneva Norman Angell a inizio Novecento.

Un rapporto dell’Economist Intelligence Unit (EIU) di questi giorni contribuisce a chiarire lo stato degli investimenti in Africa da parte dei Paesi arabi, mettendo in evidenza come non siano solo i nuovi contendenti (Cina, Russia e Turchia) a disputarsi lo spazio economico immenso di questo continente con quelli tradizionali, ma compaiano su una scena sempre più complessa un insieme variegato di nazioni e istituzioni internazionali, parte del processo di riassetto degli equilibri geoeconomici globali. Il Consiglio di Cooperazione del Golfo (CCG) è l’organizzazione formata nel 1981 dagli Stati che si affacciano sul Golfo Persico (Arabia Saudita, Bahrein, Emirati Arabi Uniti, Kuwait, Oman e Qatar), per promuovere una più stretta collaborazione e integrazione su scala regionale in materia economica, sociale e culturale, fino alla creazione di un mercato e un’unità monetaria comuni.

Il CCG rappresenta il canale essenziale per le relazioni dell’Unione Europea con questi Paesi e, peraltro, dispone di ingenti finanziamenti dei suoi membri per il continente africano, nel momento in cui i prestiti cinesi e gli aiuti occidentali sono meno sicuri e sembrano avere raggiunto il loro tetto massimo. L’attrattiva di tali risorse è dovuta anche alla velocità con cui i fondi possono essere forniti e agli scarsi vincoli fissati per il loro impiego, soprattutto rispetto alle istituzioni finanziarie dell’Occidente.

Si tratta di un soft power particolarmente rilevante, perché deriva da investimenti di carattere strategico e da un potenziale miglioramento delle condizioni di sicurezza, specie nelle aree del Corno d’Africa e del Mar Rosso. In questo modo, gli Stati arabi potrebbero assumere il ruolo di principali attori internazionali dell’iniziativa economica nei Paesi africani, espandendo la loro presenza in tutto il continente.

Le aziende e gli investitori del CCG tendono a concentrarsi sulle industrie africane legate alle risorse energetiche (petrolio, gas e rinnovabili), alle miniere e all’agricoltura, ma anche sulle infrastrutture di trasporto, sui servizi logistici e sui comparti digitali.

Secondo le stime riportate dall’EIU, il Consiglio di Cooperazione del Golfo ha investito oltre 100 miliardi di dollari in Africa negli ultimi dieci anni, ossia circa il 30% del totale degli investimenti diretti esteri (IDE). Mentre nel 2023 gli investimenti diretti indicati dai Paesi arabi per la realizzazione di nuove attività (greenfield) nei territori africani hanno raggiunto 53 miliardi di dollari, superando gli impegni delle imprese cinesi (35,5 miliardi), europee (38 miliardi) e statunitensi (10 miliardi). Gli scambi tra CCG e Paesi africani sono cresciuti a un tasso dell’8% nel decennio fino al 2022, toccando 154 miliardi di dollari in quell’ultimo anno.

Questo risultato ha permesso di scavalcare il totale del commercio bilaterale con l’Africa degli Stati Uniti (74 miliardi di dollari) e dell’India (99 miliardi), nonché di recuperare il divario nei confronti dei medesimi traffici della Cina (289 miliardi) e dell’Europa occidentale (244 miliardi). Tale incremento di attività riguarda anche la partecipazione alla gestione dei porti e delle principali rotte logistiche da parte degli Stati del CCG in molti territori (Algeria, Egitto, Sudan, Eritrea, Somalia, Tanzania, Mozambico, Sud Africa, Angola, Repubblica Democratica del Congo, Congo-Brazzaville, Ruanda, Nigeria, Guinea e Senegal).

La competizione dei Paesi arabi con i protagonisti dell’economia mondiale si sta svolgendo in tutti i settori e gli ambiti di convenienza del continente africano, sulla base di una combinazione pragmatica di “non intervento in stile cinese, costruzione di reti in stile russo e investimenti aziendali in stile occidentale”.

Questa originale analisi dell’Economist Intelligence Unit permette non solo di rivolgere l’attenzione a un nuovo gruppo di concorrenti che emerge sul proscenio globale, ma di considerare la necessità impellente dell’Europa di stare in gioco nella sfida attuale e l’opportunità per l’Italia e il Mezzogiorno di svolgere un ruolo significativo. Il mutamento degli assetti della geografia, della politica e dell’economia attraversa ormai un continente immediatamente prospiciente i confini del nostro mare, gravido di tensioni e contrasti aspri, e, al tempo stesso, al centro del prossimo sviluppo del mondo intero.

Come ai tempi celebrati da Fernand Braudel, uno spazio mediterraneo allargato può trovarsi proiettato verso un nuovo destino ed essere chiave di volta dell’avvenire dei Paesi che lo circondano.

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