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Il taglio dei parlamentari è una riforma senza strategia

Giovanni Cominelli martedì 18 Agosto 2020
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di Giovanni Cominelli

 

La riduzione del numero di parlamentari costituisce un grave vulnus della Costituzione e della democrazia? Diminuisce la rappresentatività delle Camere?  Aumenta l’efficienza delle Camere? E’ il primo passo di un possibile itinerario di riforme costituzionali? Il SI è riformista e il NO è conservatore?

I sostenitori del SI argomentano la propria posizione a partire dalla prospettiva di una maggiore efficienza e quindi di una maggiore rappresentatività effettiva assicurate dalla diminuzione del numero dei parlamentari. Sull’esempio del Senato americano, a ciascun deputato/senatore verrebbe assicurata una funzione specifica da svolgere – che oggi manca a molti peones del nostro Parlamento – e sarebbe dotato di un suo apparato, che lo supporterebbe sia nel lavoro parlamentare sia nella migliore manutenzione dei rapporti con il territorio elettorale. D’altronde, il SI-PD ricorda che la sinistra fin agli anni ’70 ha chiesto la riduzione del numero dei parlamentari. E all’obiezione che, in realtà, le cause della delegittimazione e dell’inefficienza delle istituzioni rappresentative sono l’enorme vuoto decisionale, cioè la debolezza dell’istituzione governo, e il bicameralismo, il SI-PD risponde che la riduzione è solo il primo passo di un itinerario di riformismo costituzionale, già interrotto con la sconfitta referendaria del 2016, ma da riprendere, appunto, con questo piccolo passo. Come disse Neil Armstrong sulla Luna: “… un piccolo passo per un uomo, ma un grande balzo per l’umanità”. Meglio un passo in avanti che stare fermi chissà ancora per quanto. Nella lingua del pragmatico riformismo bergamasco: “pötost che negòta, l’è mei pötost – piuttosto che niente, è meglio piuttosto”. Che poi si possa ottenere anche un risparmio di spese, come sostengono i Cinquestelle, per il SI-PD è solo una felice, ma piccola conseguenza.

Le argomentazioni del SI non convincono

Le ragioni fondative di una battaglia politico-istituzionale sono date dal contesto in cui è stata incominciata, dalle motivazioni degli eserciti in campo e dai loro rapporti di forza, dalle prospettive che essi assegnano alla battaglia e, infine, al suo esito. Il tentativo in corso del SI-PD è, a quanto pare, quello di:

a) rovesciare sul campo di battaglia le motivazioni con le quali il M5S vi è entrato, dopo aver vinto le elezioni del 2018 nel nome della democrazia diretta – “apriremo il Parlamento come una scatoletta di tonno!”, disse Grillo – della guerra ai partiti, alla “casta” e alla democrazia rappresentativa;

b) predisporsi a usare l’eventuale vittoria del SI‘ per rafforzare le istituzioni democratiche contro le intenzioni originarie del M5S e della Lega.

Questo progetto machiavellico di un’eterogenesi dei fini è un pezzo della strategia generale, elaborata da Franceschini e Bettini, assecondata alla fine da Zingaretti e di fatto sostenuta da tutto il PD, compresa la sua area riformista, che prevede la costruzione di un nuovo bipolarismo centro-sinistra/centro-destra, dove il polo di centro-sinistra sarebbe appunto costituito dall’alleanza organica tra M5S e PD. Quando è nato il governo giallo-rosso, per malaugurata iniziativa di Renzi, che ha agitato lo spauracchio emergenziale di sempre – quello del tiranno Salvini in arrivo – questo orizzonte strategico era ancora piuttosto indefinito e, comunque, non unanimemente condiviso nel PD. In ogni caso, e già da allora, la riduzione del numero dei parlamentari è entrata a far parte essenziale del patto di governo quale base fondante. Difficile dire, oggi, se un rifiuto del PD di sottoscrivere la riduzione dei parlamentari avrebbe impedito la nascita del governo giallo-rosso. Il PD, a suo tempo, dopo l’avvio del dibattito al Senato il 10 ottobre 2018, votò tre volte NO alla riduzione, ma, a detta di Stefano Ceccanti, per pure ragioni tecniche.

Come a dire: eravamo d’accordo fin da allora, ma la mancata accettazione dei nostri emendamenti ci impedì di dirlo esplicitamente. Notevole esempio di gesuitica arrampicata sui vetri e di retrodatazione politica del SI, che al momento sarebbe stato costretto a indossare la maschera del NO.

Dunque, vince il SI, si compie un primo passo attraverso una riforma costituzionale complessiva, e poi si aprono “magnifiche sorti e progressive”… sempre sulla base dell’alleanza M5S-PD? Chi non vede tale futuro luminoso è un miope conservatore?

Qualche dubbio sulla strategia del riformismo puntiforme

La strategia del riformismo puntiforme e della riforma chirurgica – adottata dopo il fallimento del referendum “globale” 2016, in forza della quale si preferisce modificare singoli pezzi della macchina istituzionale – potrebbe funzionare, solo se il M5S e il PD avessero un’idea comune delle necessarie riforme del sistema e dei suoi equilibri interni, salvo poi scaglionare nel tempo il cambio effettivo dei singoli pezzi. Le tessere del mosaico si possono collocare in tempi diversi, ma la sinopia sottostante dell’intero mosaico deve essere leggibile subito e per intero.

Non la si vede, perché non c’é. Si fa una riforma, senza che questa possa trascinare logicamente quella dell’abolizione del bicameralismo e quella del rafforzamento dell’esecutivo. E’ un passo in avanti, ma nel buio. Non sono così catastrofico da parlare di “salto nel buio della democrazia italiana”, ma, certo, è poco più che uno sgranchimento ginnico di gambe verso il “negòta” (dal latino nec gutta!), verso il nulla di riforme, fatto solo per necessità di tenere in piedi un partito decisivo per i numeri di sostegno al governo.

C’entra molto con la politica contingente, assai meno con il riformismo istituzionale. Inevitabile, a questo punto, che il criterio per votare SiI/NO dipenda dal giudizio sulla politica del governo giallo-rosso più che dai giudizi “tecnici”. I cittadini hanno già seguito, ahinoi, questo metodo nel 2016.

 

La difesa dell’alleanza Pd-M5s

La sostanza della posizione del SI-PD è la difesa dell’alleanza, a questo punto strategica, con il M5S, fondata sulla previsione di un cambiamento a 180 gradi della cultura politica del M5S.

Ora, è vero che il M5S, sotto la pressione dei parlamentari, che non hanno nessun intenzione di tornare a casa, e dei ministri, che hanno scoperto le gioie del potere, pare si stia convertendo alla democrazia parlamentare – addio scatoletta di tonno! – all’accettazione delle alleanze con altri partiti e al superamento del dogma dei due mandati. Ma la cultura politica del M5S e i programmi di governo che ne conseguono sono all’opposto di quelli di una sinistra che si preoccupi dello sviluppo del Paese e della riforma delle istituzioni rappresentative e di governo nonché di quelle della Pubblica Amministrazione. Che la sinistra al governo non se ne preoccupi più è solo la controprova della strabordante egemonia grillina.

I Barbari neo-statalisti e spendaccioni hanno barbarizzato i Romani. Per quanto uno abbia buona volontà, fa fatica ad intravedere delle tracce di riformismo nelle fumose intenzioni istituzionali dell’alleanza e, soprattutto, nelle politiche assistenziali massicce, che sono conseguenze delle peggiori leggi precedenti – Reddito di cittadinanza e Quota 100 – e degli attuali Decreti, che hanno fatto volare sulle teste degli Italiani l’elicottero della distribuzione a pioggia. Distribuzioni che hanno favorito i più capaci di accedere ai meccanismi e ai tesoretti previsti dai Decreti, una forma di enorme finanziamento del ceto medio e degli elusori/evasori fiscali, mentre i più poveri sono rimasti senza i 600 euro. La legge è stata scritta male da incompetenti, come sostiene Cassese? No, è stata scritta da cervelli elettoralmente competenti! Perciò, è difficilmente separabile, nella testa di chi andrà a votare, il giudizio sulle politiche in corso da quello sulla diminuzione del numero dei parlamentari.

 

Un passo verso una “terra desolata”

Difficile superare l’impressione che il SI del PD sia solo l’ennesimo obolo pagato sulla strada dell’alleanza strategica di governo, che tenta di gestire con l’anestesia il declino del Paese. Il SI-PD ha deciso di sacrificare il “philosophari” all’illusorio “primum vivere”, dentro un’alleanza che si configura sempre più come un magma neo-doroteo, fatto di statalismo e distribuzione di denaro senza criteri di giustizia, senza nessuna politica di sviluppo. E’ la DC degli anni ’80. Purtroppo non c’è nessun Craxi a tentare di arginarla.

Il SI un passo in avanti? Sì, in una terra di nessuno, peggio, in una “waste land”, una terra desolata. E allora il NO non significa forse stare fermi nella terra desolata, dove già ci si trova? A questo punto, è probabile che molti elettori, posti di fronte alla scelta che fece morire di fame l’asino di Buridano, finiranno per votare scheda bianca o più semplicemente per restare a casa.

 

(Pubblicato su www.santalessandro.org il 15 agosto 2020)

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