di Giovanni Cominelli
I primi test elettorali e i sondaggi periodici fanno prevedere un calo notevole del consenso finora attribuito al M5S. Il clamoroso mutamento di posizioni, nel passaggio dalla campagna elettorale alla collocazione di governo – che i militanti più strenui bollano semplicemente quale tradimento – e l’incompetenza goffa di tutti i ministri, nessuno escluso, della delegazione pentastellata al governo hanno aperto gli occhi a quella parte di elettorato, che nelle urne aveva protestato sia contro la destra sia contro la sinistra.
A questo punto, tanto il Pd quanto Forza Italia incominciano più che timidamente a sperare che le pecorelle smarrite abbiano già intrapreso la strada del ritorno all’ovile. I partiti suddetti, vittime recenti delle ampie oscillazioni del consenso elettorale, sperano di trovarsi di nuovo dal lato giusto del pendolo. Accadrà forse che la cocente delusione riporti qualcuno sui vecchi sentieri, ma sarà bene che nessuno si faccia illusioni. Non saranno, in ogni caso, le scintille delle morenti illusioni a riaccendere il fuoco di nuove speranze. Perché il successo elettorale del M5S è stato l’effetto di cause non occasionali, tali che un eventuale ridimensionamento del consenso non potrà facilmente rimuovere. Per due tipi di ragioni, uno relativo alla struttura della società italiana, l’altro alle dinamiche della politica. Ragioni che sono altrettanti fasci di radici del M5S nel profondo della società italiana.
I grillini: un po’ Democrazia Cristiana, un po’ Salvini
Quanto al primo tipo: c’è una parte della società italiana, alla quale “la decrescita felice” proposta dal M5S calza a pennello. E’ quella parte che campa di Stato e che è stata “educata” alla pratica e alla cultura dell’assistenza. Questa “educazione” è causa ed effetto del sottosviluppo meridionale, ma anche di dinamiche sociali del Nord. E’ il prodotto di una complicità e biunivoca corrispondenza tra società civile e rappresentanze politiche, rafforzata, nel caso della Sicilia, dalla “specialità” delle istituzioni, riconosciuta in Costituzione con lo Statuto speciale.
E’ un’antica storia, quella delle classi dirigenti siciliane, che si sono sempre battute per l’autonomia prima contro i Borboni di Napoli, poi contro i Piemontesi, poi – nel secondo dopoguerra – contro lo Stato nazionale. Il contenuto sociale e politico di tale autonomia era ed è l’oppressione delle classi subalterne, chiamate a battersi per l’autonomia e poi a soffrire il dominio dei latifondisti, della borghesia parassitaria, delle organizzazioni mafiose.
La capacità di contrattazione e di ricatto rispetto alla classe dirigente politica nazionale ha ottenuto un flusso abnorme di denaro pubblico, che si è perso in mille rivoli clientelari, che hanno alimentato legami pervasivi, dipendenza, passività. Fin qui nulla distingue la rappresentanza pentastellata da quella classica democristiana. Ne è solo l’erede legittima.
Ma così il quadro resterebbe incompleto. C’è un lato della cultura politica del M5S, che parla alle giovani generazioni di tutto il Paese, mescolando l’ambientalismo ideologico, la reazione all’industrialismo fallimentare degli anni ‘50/’60, promosso dalla sinistra democristiana, le paure del collasso ecologico, le illusioni informatiche – come dimenticare l’appello di Di Maio al potere produttivo salvifico delle stampanti 3D? Questa cultura ha ripreso i temi che hanno agitato dagli anni 2000 il no-globalismo e l’ambientalismo radicale in Italia e in Europa. Dà voce a paure diffuse, a ripiegamenti rassegnati, a pigrizie localiste. Il mondo viene rappresentato come la scena di un grande complotto plutocratico-finanziario, di cui la Commissione europea è la cinghia di trasmissione, contro il Bel Paese. Questa descrizione è quella che oggettivamente avvicina il M5S alla Lega nazionalista di Salvini.
Le radici politico-istituzionali del M5S
Il secondo tipo di ragioni-radici del M5S sta dentro le dinamiche della politica italiana. Il dibattito teorico di questi ultimi anni ha fatto del M5S un “caso” della crisi delle democrazie liberali e dell’insorgenza populista. Tuttavia, questa reductio ad unum non illumina lo specifico del M5S. Anche perché la democrazia italiana consociativa e corporativa della Prima – e tuttora vigente – repubblica, uscita dalla Costituzione del ’48 e sperimentata lungo i decenni fino ad oggi, è tutt’altro che un modello di democrazia liberale. Il M5S è nato dal fallimento delle istituzioni e del sistema politico della Prima repubblica.
In primo luogo, dal lungo non-governo, che, avendo aperto con De Gasperi e Einaudi la strada della crescita economica – che ha portato l’Italia in un decennio al settimo posto mondiale – non è poi stato in grado di tenerne sotto controllo gli “animal spirits”, negli anni dello sviluppo disordinato e diseguale. In particolare, non ha neppure avviato la soluzione della storica questione meridionale, che, viceversa, si è venuta aggravando. E quando sono incominciate, prima la “congiuntura” degli anni ’60 e poi e la fine di Bretton Woods nel dicembre 1971 e la crisi petrolifera successiva, i governi hanno finito per redistribuire, negli anni ’80, soldi a debito, nonostante la produzione di valore e ricchezza stesse vistosamente scemando.
La nascita dei movimenti autonomisti al Nord – che confluiranno nella Lega Nord, costituita nel dicembre 1989 – costituì il primo segnale del fallimento dei governi. Ma fu anche una spia di una crisi del sistema dei partiti, visto che i governi erano il frutto sempre troppo caduco degli accordi tra i partiti. I quali, d’altronde, reagivano alla voglia aumentata di partecipazione dei cittadini alla cosa pubblica, trasformandosi in indecifrabili “scatole nere” e rinserrando i ranghi di piccole oligarchie. La storia di quegli anni, dopo l’89, è troppo nota. Sono nati partiti nuovi e nuovi movimenti, ma né una riforma costituzionale dell’istituzione-governo né una riforma pubblica dei partiti è mai stata fatta. Il partito del “Vaffa” è nato da una lunga e fin troppo paziente disperazione pubblica…
L’assenza di visione del Pd e di Forza Italia
E’ probabile che il pasticciaccio ideologico-programmatico che ha cucinato e l’incompetenza patetica di governo portino alla crisi di consenso anche il M5S.
Ma le cause che lo hanno generato sono ancora tutte lì. Né risulta che il PD o Forza Italia intendano rimuoverle. Non pare che abbiano preso realmente atto della fine della Prima repubblica e progettino assetti istituzionali e politici all’altezza delle necessità, che la nuova condizione mondiale impone, e delle domande di partecipazione politica pubblica, che il M5S ha interpretato con la formula della “democrazia diretta”, assembleare e referendaria.
Quanto al successo provvisorio di Salvini, non ha ragioni misteriose. Propone una visione nazionalistica dell’ordine mondiale, del ruolo dell’Italia, del governo dello sviluppo e delle istituzioni sintatticamente coerente. Se sia in grado sul medio-lungo periodo di reggere il confronto con il mondo reale, c’è da dubitare, dal punto di vista di chi scrive, radicalmente. Solo che nell’attuale panorama politico una visione alternativa non appare. Non in Berlusconi, non nel PD, che ostinatamente pare ridurre le suddette necessità e domande ad una nuova insorgente “questione sociale”. Troppo poco!
Può darsi che il M5S tramonti. Ma questa non è l’alba degli altri.
E’ stato consigliere comunale a Milano e consigliere regionale in Lombardia, responsabile scuola di Pci, Pds, Ds in Lombardia e membro della Commissione nazionale scuola, membro del Comitato tecnico scientifico dell’Invalsi e del CdA dell’Indire. Ha collaborato con Tempi, il Riformista, il Foglio, l’ Avvenire, Sole 24 Ore. Scrive su Nuova secondaria ed è editorialista politico di www.santalessandro.org, settimanale on line della Diocesi di Bergamo.
Ha scritto “La caduta del vento leggero”, Guerini 2008, “La scuola è finita…forse”, Guerini 2009, “Scuola: rompere il muro fra aula e vita”, BQ 2016 ed ha curato “Che fine ha fatto il ’68. Fu vera gloria?”, Guerini 2018.