Alcune ragionate riflessioni di Giorgio Napolitano sulla inopportunità del ricorso al referendum popolare per decidere la permanenza o l’uscita del Regno Unito dalla Ue hanno fornito al “popolo del web” l’occasione per l’ennesimo bombardamento a suon di insulti e improperi a danno dello stesso Presidente emerito.
Con la calma e l’attenzione che l’argomento merita, proviamo svolgere alcune considerazioni sul tema.
A decidere se rimanere o andarsene dalla Ue è stato chiamato il popolo. Quale popolo? Che domanda, il popolo del Regno Unito, l’insieme dei sudditi di Sua Maestà Britannica. E il popolo, questo popolo così definito, ha decretato a maggioranza l’uscita dello Uk dalla Ue.
L’analisi del voto mette in luce alcune cose interessanti, che mandano un po’ in crisi la nostra nozione di popolo. Scopriamo, per esempio, che il popolo scozzese ( l’insieme dei sudditi della Corona che si riconoscono nelle tradizioni, nella parlata e nell’origine etnica degli abitanti della Scozia) ha votato compatto per la permanenza dello Uk nella Ue. Ci viene poi detto che questo popolo è pronto ad esprimersi in un nuovo referendum per sancire l’uscita della Scozia dal Regno Unito, con conseguente ricongiungimento della Scozia alla Ue.
Analogamente, il popolo nord-irlandese (l’insieme dei sudditi ecc…) ha votato compatto per la permanenza dello Uk nella Ue. Ci viene poi detto che questo popolo è pronto ad esprimersi in un nuovo referendum per sancire l’unificazione dell’Irlanda del Nord (ULSTER) con l’Irlanda (EIRE), con il cui popolo condivide – a larga maggioranza – tradizioni, religione, lingua d’origine, radici etniche; con conseguente ricongiungimento alla Ue di cui l’Irlanda EIRE è parte.
C’è poi il popolo degli under 50 (insieme dei sudditi della Corona che rappresentano per diritto anagrafico il futuro delle rispettive nazioni e dell’intero Regno Unito, pur non avendo ancora in mano le redini del comando), che con un buon margine di vantaggio, ha detto di volere che il Regno Unito rimanga legato alla Ue.
C’è infine il popolo di Londra ((insieme dei sudditi della Corona che, pur alloggiando all’ombra di Buckingam Palace, sa di vivere in una delle grandi capitali sovranazionali del mondo globalizzato, entrato da qualche lustro nel XXI secolo) il quale, fosse per lui, manco si sognerebbe di uscirsene dalla Ue.
Allora? Quanti popoli in contrasto fra di loro hanno concorso al colossale sconquasso finale?
Mentre scriviamo, tre milioni di firme sono state già raccolte a sostegno della richiesta (vana, impossibile) di rifare il referendum. Una grandissima parte di queste firme è stata apposta da cittadini che hanno votato per l’uscita e se ne sono subito pentiti.
Essi dicono: ho votato Brexit perché, da conservatore, volevo castigare quell’asino di Cameron.; ho votato Brexit perché, da laburista, non sono stato convinto da quel “ balosso” di Corbyn; ho votato Brexit perché i vicini immigrati rumeni mi disturbano con le loro abitudini nient’affatto british; ho votato Brexit per rilanciare la supremazia britannica sul mondo (rule Britannia); ho votato Brexit perché detesto i francesi, mi spaventano i tedeschi, mi scocciano tutti questi italiani con le loro pizzerie.
Ho votato Brexit… ma non mi rendevo conto di che razza d’un guaio si andava producendo.
Con un solo colpo maldestro, anche il mio inconsapevole voto contribuisce alla distruzione dell’Europa, allo sgretolamento del Regno Unito, alla frattura fra vecchie e giovani generazioni.
Con un solo colpo maldestro rischiano di andare in frantumi decenni di faticosa costruzione di un’Europa libera e pacifica e secoli di unità nel segno della Corona d’Inghilterra.
Rimettere insieme questi cocci ci vorrebbe gente come oggi poca se ne vede in giro. Gente come Spinelli e Rossi, come Schumann, Adenauer e De Gasperi, che si lasciava andare a battute come “il politico guarda alle prossime elezioni, lo statista alle prossime generazioni”.
Ora, questi signori hanno sognato e progettato l’Europa (qualcuno dal confino, dall’esilio o dalle file della Resistenza Europea) quando il ricorso al giudizio del popolo avrebbe portato, con facile supposizione, a conclusioni assai lontane dalle loro speranze.
Per stare all’Italia, notiamo che i Costituenti, e con loro l’europeista De Gasperi, nello scrivere la Costituzione, sono stati molto prudenti, quasi avari, verso l’istituto referendario. Diciamo, addirittura diffidenti.
Nutrivano forse spocchioso disprezzo verso il popolo? No, certamente.
Erano piuttosto animati dalla convinzione che tematiche complesse, che comportano scelte fitte di conseguenze che l’elementare opzione SI/NO non considera, non possano e non debbano essere oggetto di competizione fra fazioni e scontro di piazza. Debbano essere invece oggetto del lavoro delle istituzioni della democrazia rappresentativa, il cui compito è di incarnare le volontà del paese e al tempo stesso di garantirne la coesione. Ed è diritto dei cittadini pretendere che le istituzioni, e il personale politico che le regge, siano all’altezza del loro formidabile compito.
La riforma della Costituzione che in autunno saremo chiamati a confermare, non ne tocca i principi fondativi. In particolare, resta inalterata la natura rappresentativa della democrazia italiana (né d’altra parte è dato di conoscere altre forme di democrazia funzionante adottata il altri grandi Paesi).
L’istituto referendario nella forma abrogativa viene, dalla riforma, facilitato con la drastica riduzione del quorum (dalla metà più uno del corpo elettorale alla metà più uno dei votanti alle ultime elezioni).
Viene introdotto il referendum propositivo, così come viene aperta una strada più agevole all’iniziativa legislativa popolare.
Viene quindi, nello spirito originario, allargato lo spazio partecipativo diretto. Non si parla certamente di introdurre il ricorso al referendum su temi quali fisco e moneta e trattati internazionali.
L’appello al giudizio popolare diretto su tutto è oggi moneta corrente dei populismi che in varie forme crescono in Europa. Espone argomenti di grande complessità ai venti della demagogia, della falsa informazione (da qualsiasi parte provenga), alle reazioni emotive e agli interessi particolari; privilegia lo scontro rispetto al confronto, la frantumazione rispetto alla coesione.
E’, per dirla in conclusione, l’ultima cosa di cui il nostro Paese, si chiami Italia o si chiami Europa, ha bisogno.