di Paolo Segatti
Vorrei fare alcune osservazioni sugli orientamenti dell’opinione pubblica americana sui temi che chiamano in causa differenti e spesso opposte visioni etiche.
Contrariamente alla narrazione predominante, le opinioni degli americani sui temi morali, a differenza dei temi economici e di quelli relativi ai diritti civili, sono diventate nel corso degli ultimi decenni più tolleranti e meno polarizzate. Per esempio Baldassari e Park (JoP, 2020 ) mostrano che dagli ’70 ad oggi le opinioni degli americani su temi, quali il riconoscimento di diritti alle donne e alle minoranze LGTBq, stanno convergendo in senso liberale. Persistono ovviamente differenze secondo l’orientamento partitico. Ma i repubblicani di oggi sono molto più tolleranti di quanto lo fossero i repubblicani di ieri. Parlare dunque di guerre culturali sui temi morali è forse giusto, ma sarebbe meglio aggiungere che sui temi della diversità sessuale e di genere sono forse in via di esaurimento tra i cittadini comuni. Dopo di che è sempre possibile che l’azione di minoranze intense nel tempo possano rovesciare la tendenza. Ma questa è un’altra storia.
Tra i temi morali, quello dell’aborto fa invece storia a sé. Gallup ha chiesto dagli anni ’90 in poi in quale dei due campi, pro-choice o pro-life, gli americani si collocassero. Le percentuali di risposta hanno oscillato nel corso del tempo, ma la tendenza mostra una società sempre divisa in due, come anche osservano Baldassari e Park con altri dati.
Tuttavia la frattura morale non implica che chi è pro life sia del tutto indisponibile a ragionare in quali circostanze e a quali condizioni l’interruzione di gravidanza potrebbe essere ammessa o viceversa chi è pro-choice poi non si interroghi se esistono limiti al diritto di scelta. Alvarez e Brehm in un lavoro di qualche anno fa (Hard Choice, Easy Answers, 2002) hanno mostrato come le opinioni degli americani sulla liceità dell’aborto sono ambivalenti. Variano sensibilmente a seconda delle circostanze che vengono addotte per giustificarlo. Stragrande maggioranza a favore di una interruzione di gravidanza in caso di stupro e incesto o per proteggere la salute della madre. Limitato consenso in presenza di giustificazioni soggettive. Un’indagine recente di YouGov per conto di The Economist del 24 giugno 2022 mostra che nulla è cambiato al riguardo. Di più, secondo le indagini Gallup, c’è sempre stata una maggioranza di americani favorevole all’ammissibilità dell’aborto. Nel 1975 il 54% lo ritenevano ammissibile in alcune circostanze. Nel 2021 erano il 48%. A costoro andrebbero aggiunti nel 1975 il 22% che voleva legalizzare l’aborto in ogni circostanza che nel 2021 sono cresciuti al 32%. Sono sempre stati invece in netta minoranza chi voleva che l’aborto fosse sempre illegale. Infine una indagine condotta alcuni mesi fa da YouGov, sempre per conto di The Economist suggerisce che in 38 stati più il District of Columbia la maggioranza degli intervistati era favore di un accesso all’aborto senza restrizioni o con limiti temporali più restrittivi di quelli consentiti per effetto della sentenza Roe v. Wade (24 settimane). Solo in 12 stati la maggioranza era contraria all’aborto, tranne in alcuni casi come stupro e incesto.
Il tema dell’aborto è dunque molto più divisivo degli altri temi morali, e tale è rimasto. Posti di fronte alla scelta di fondo, quella che chiama in causa le proprie e personali concezione etiche, gli americani si spaccano in due campi, pro-choice vs pro-life. Ma appunto si tratta di una divisione morale che attiene ai comportamenti personali. Di fronte al problema dell’ammissibilità dell’interruzione di gravidanza, come abbiamo visto, gli americani non sono probabilmente mai stati ostili a convergere a favore di una qualche legislazione sul tema. Dovremmo allora chiederci perché in 50 anni la politica americana non sia riuscita a realizzarla, rispondendo alle preoccupazioni morali di chi era più sensibile ai diritti del nascituro e di chi lo era di più a quelle dei diritti della madre, senza però accettare per intero le legittime ragioni etiche degli uni o degli altri. Non è andata così. Hanno vinto sempre le minoranze di un campo e dell’altro, per le quali evidentemente consenso significa richiesta di conversione integrale al proprio credo morale. La sentenza della Corte Suprema va in questa direzione, aggiungendovi il caos istituzionale di legislazioni diverse da stato e stato.
Professore Ordinario di Sociologia Politica nella Università degli Studi di Milano dal 2002. Ha insegnato anche nelle università di Venezia, Trieste e Pavia. Tra i suoi ultimi libri: “L’apocalisse della democrazia italiana. Alle origini di due terremoti elettorali” (con Schadee e Vezzoni) Il Mulino 2019, “European Identity in the context of National Identities” (con Bettina Westle) Oxford University Press 2016, “La rappresentanza Politica In Italia, candidati ed elettori nelle elezioni del 2013” (con Aldo De Virgilio) Il Mulino 2016, Itanes “Voto Amaro Crisi economica e discontento nelle elezioni del 2013” (con P. Bellucci), Il Mulino 2013.