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In Europa la guerra non è più un’anomalia storica

Giovanni Cominelli mercoledì 2 Aprile 2025
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di Giovanni Cominelli

 

Nell’intervista a “La Stampa” del 30 marzo Gustavo Zagrebelsky ha smentito – “sono stato frainteso”! – il contenuto dell’intervista rilasciata a “Il Fatto quotidiano” il 22 marzo scorso, nella quale teorizzava, parlando di Ucraina, che è meglio “una pace ingiusta piuttosto che una morte giusta per tutti, innocenti compresi.
Una pace, per quanto ingiusta, non preclude la possibilità di operare successivamente per ottenere giustizia”.

Il cinismo di Zagrebelsky

La smentita odierna consiste nel precisare che non alludeva all’Ucraina, ma ad una guerra in cui l’intera Umanità finisse incenerita nell’olocausto nucleare. Che si tratti solo degli Ucraini o dell’umanità intera, non cambia molto: l’idea di fondo è la stessa: “meglio schiavi che morti”.

Non è originale. Negli anni ’80, all’epoca dei movimenti per la pace contro l’installazione dei missili Pershing e dei Cruise della Nato, previsti in risposta agli SS 20 sovietici, circolava lo slogan, attribuito a Bertrand Russell: “Meglio rossi che morti”.

Aggiornato ad oggi, in bocca a Zagrebelsky: “Meglio Russi che morti”. Nel suo cinismo della cattedra, forse ha confuso il dilemma “o la libertà o la vita!” con quello più terra terra “o la borsa o la vita!”.

In cambio di quest’ultima si può ben mollare “la borsa”, più difficile rinunciare alla “libertà”, cioè alla dignità che ciascun essere umano e ciascun popolo vogliono che sia loro riconosciuta. Il nostro costituzionalista avrà certamente letto, nella Fenomenologia dello spirito di Hegel, la descrizione della lotta per il riconoscimento.

Non ne ha cavato nulla?

Una rivoluzione copernicana in Europa: dalla pace alla guerra

Questo ennesimo episodio di una viltà intellettuale, che coinvolge un bel po’ di mondo intellettuale e giornalistico, meriterebbe solo l’oblio, se non fosse che esso corrisponde “democraticamente” allo spirito del Paese oggi, quale viene documentato dai recenti sondaggi.

Gli Italiani paiono, infatti, oscillare tra l’ottimismo giulivo del “peace and love” – uno slogan birichino degli anni ’80 importato dalla Germania suonava, in effetti, “Sì Petting, no Pershing!” – e la cecità totale rispetto ad un mondo reale, nel quale, viceversa, è drammatico il confronto tra democrazia e dittatura, tra libertà e sottomissione, tra Diritto e Forza e, infine, tra pace e guerra. Si può ben capire, si intende.

Il fatto è che nel giro di un paio d’anni ci si è sgretolata tra le mani un’idea di Europa e di mondo, per la quale la guerra era diventata un’anomalia storica, che stava alla larga dalle nostre frontiere e dalle nostre finestre.

Ci troviamo, ora, nel mezzo di una rivoluzione copernicana, di cui ci rifiutiamo ostinatamente di prendere atto, perché mette in discussione tutto ciò che abbiamo avuto finora di buono dalla vita sociale negli ultimi ottant’anni, al netto delle contingenze individuali, felici o dolorose.

Siamo stati ben abituati a fare i pacifisti con le armi degli altri. Il tradimento del sunnominato chierico di turno consiste nel non dirlo. Più comodo alimentare la beata ignoranza e l’inedia intellettuale.

By-passando qui questioni di antropologia e di filosofia politica, alle quali hanno dato delle risposte in tempi diversi Hobbes, Rousseau, Kant, Darwin… – la guerra è costitutiva della storia della specie? la convivenza degli uomini è solo la kantiana “Ungesellige Geselligkeit” (insocievole socievolezza)? – ci resta in mano, qui e ora, un problema di politica e di assunzione di responsabilità morale.

Un contesto internazionale complesso. L’Europa a rischio?

Noi Italiani, noi Europei siamo a rischio di aggressione? Lo siamo da Est, in primo luogo. Le ambizioni imperiali russe non sono state tenute nascoste da Putin in questi ultimi vent’anni.

Che Putin non sia in grado e non voglia, oggi, marciare su Berlino, Parigi, Vienna, Piazza San Pietro… è un fatto. Che, tuttavia, voglia crearsi attorno una fascia di Stati-servi della gleba è altrettanto un fatto: dopo la Bielorussia, l’Ucraina.

Poi vengono i Paesi Baltici. Poi il Caucaso. Poi i Balcani. Trattasi dell’impero sovietico-staliniano. Putin lo rivuole. L’aggressività verso l’esterno è anche il solo modo che gli è rimasto per tenere in piedi un sistema dittatoriale assassino all’interno.

Ci dobbiamo difendere o no? Dobbiamo armarci o no? Per fare la guerra alla Russia o per difenderci dalle sue ambizioni territoriali? La gente non si pone le domande, perché ha paura delle risposte.

Le ambizioni imperiali americane

Il dato, tuttavia, più sconvolgente, è il manifestarsi delle ambizioni imperiali americane versus l’Europa, sia in termini commerciali sia in termini territoriali: la Groenlandia è storicamente e giuridicamente europea. Gli Usa vogliono invaderci? Non pare.

Vogliono “solo” estrometterci dalla costruzione degli equilibri mondiali. Ci si aspetterebbe che nei luoghi dove si studia, si fa ricerca, si scrive, si dibatte e si informa venisse coltivata la verità delle cose.

Invece si inseguono i fantasmi di un mondo che è finito. L’ideologia illuminista, kantiana, wilsoniana, rooseveltiana della pace e della guerra è stata smentita dai fatti. La guerra è una potenzialità costitutiva della storia e della politica.

Si può impedire che passi dalla potenza all’atto? Sì. Purché si capisca che la pace qui in Europa è stata resa possibile solo dalle alleanze politiche e dalla deterrenza. Perché in questo secondo dopo-guerra i Francesi, i Tedeschi, gli Italiani, gli Inglesi non hanno pensato alle rivincite come accadde dopo Versailles 1919?

Perché si sono auto-imbrigliati in alleanze, sotto la spinta costrittiva americana. Che, certo, non era ispirata dall’europeismo di Spinelli o di De Gasperi, ma dalla strategia del “containment” verso l’URSS, fatta di Piano Marshall e di Nato. Era guidata da una filosofia dell’equilibrio tra potenze.

Il ruolo della deterrenza e l’equilibrio multilaterale delle potenze

Negli ultimi 80 anni non è stato il pacifismo a garantire la pace, ma la deterrenza della MAD, della Mutual Assured Destruction. Dal latino “detérrere”: cioè distogliere, dissuadere, trattenere sulla base del “terrēre”, cioè del terrorizzare.

Il fine della deterrenza non è la volontà/intenzione di aggredire, ma quella di difendersi. Decisamente, questo nostro non è il migliore dei mondi possibili, ma è quello che oggi ci tocca.

La storia europea ha avuto di peggio. Il pensiero corre alle due guerre mondiali. Ma anche alla Guerra dei Trent’anni (1618-1648) che provocò tra gli 8 e i 12 milioni di morti in un’Europa che arrivava a malapena ai 100 milioni di abitanti? Morì il 40% della popolazione tedesca. No, quello del 2025 non è il migliore, ma neppure il peggiore dei mondi possibili.

Un vento furioso che soffia da sempre nella storia

La guerra non è un bisogno umano fondamentale come la fame o il sesso. Eppure è un vento furioso che soffia da sempre dentro la storia umana. Secondo gli antropologi, anche da prima, da milioni di anni di preistoria ominide e sapiens. Forse è ineliminabile.

Ma, qui e ora, sappiamo come fare per evitarla così come abbiamo fatto per gli ultimi ottant’anni. Si tratta di costruire un equilibrio multilaterale di potenze, in forza del quale nessuna potenza può pretendere di esportare/imporre il proprio modello di società, democratica o totalitaria che sia, e ciascun popolo ha diritto di scegliere il proprio modello di vita sociale e politica. E se non riesce ad esercitare questo diritto, nessuno può aiutarlo dall’esterno.

Per noi Europei partecipare alla costruzione dell’equilibrio delle potenze significa semplicemente diventare un Soggetto politico e militare, una potenza tra le altre. La pretesa di fare da arbitri come singoli Stati nazionali è ridicola e, in ogni caso, impotente.

È questo il caso in cui l’arbitro finisce al tappeto. Ma qui torniamo al punto: è necessario spendere milioni di euro in missili e droni. A meno, appunto, che si pensi che l’Italia e i Paesi europei siano Paesi dei Balocchi. Scriveva Thomas Hobbes nel 1642, nel “De Cive”, qualche anno prima della Pace di Westfalia: “Non è possibile che possano tutelarsi contro le aggressioni esterne coloro le cui forze non siano unite”.

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