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Italia a rischio, il governo gialloverde è già un fallimento

Luigi Marattin venerdì 31 Agosto 2018
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di Luigi Marattin

 

Nell’indimenticabile “Karate Kid”, il Maestro Miyagi soleva dire: “Quando le cose si fanno troppo complicate, sempre meglio tornare alle basi della vita”. E nella storia del governo giallo-verde, le “basi della vita” sono scandalosamente semplici.

Salvini e Di Maio il 4 marzo scorso hanno ottenuto un forte consenso promettendo flat tax e pensionamenti anticipati (che hanno fatto presa soprattutto al Nord) e reddito di cittadinanza (che ha contribuito a conquistare un consenso al Sud come non si era mai visto nell’Italia repubblicana). Queste promesse, secondo le elaborazioni fatte in maniera indipendente dall’Osservatorio sui conti pubblici di Carlo Cottarelli, hanno un costo complessivo di circa 100 miliardi di euro, poco meno di quanto spendiamo ogni anno sulla sanità. A fronte di questo, il contratto di governo ha previsto coperture per soli 500 milioni di euro.

Il primissimo tentativo di giustificare tale evidente contraddizione fu quello di scrivere nero su bianco (in una prima bozza di contratto di governo opportunamente fatta trapelare da qualcuno ai giornali) che l’Italia non avrebbe ripagato quella quota di debito pubblico in mano alla BCE. Giusto il tempo di far crollare il valore dei nostri titoli di Stato sui mercati, e la proposta fu ritirata.

Il PD ha presentato un’interrogazione parlamentare in cui chiede se il governo sia a conoscenza di legami tra queste strane dichiarazioni “mordi e fuggi” e incredibili profitti fatti da alcuni fondi speculativi, che poco prima della notizia avevano massicciamente venduto allo scoperto titoli di Stato italiani (in modo da guadagnare la differenza tra prezzo di vendita e prezzo d’acquisto).

Dopo questo strano episodio, M5S e Lega hanno deciso di passare al piano B. Non parlare più di questa evidente contraddizione: aver ottenuto un consenso straordinario promettendo misure per 100 miliardi, e avere coperture solo per 500 milioni. Ma chi ci presta ogni anno circa 400 miliardi per mantenere in funzione il settore pubblico italiano non gradisce troppo questa strategia: basta fare conti elementari, infatti, per comprendere che se le promesse elettorali fossero mantenute, i conti pubblici italiani arriverebbero al punto in cui era la Grecia nel 2009, pochi mesi prima del default (e delle tremende conseguenze – che ancora perdurano – su famiglie e imprese).

Quindi, siccome “ca nisciun è fess”, hanno cominciato a disfarsi di titoli di Stato italiani: nei primi due mesi di governo, ben 56 miliardi di euro, precedentemente investiti in debito pubblico italiano, se ne sono fuggiti a gambe elevate all’estero. Questo ha fatto aumentare il rendimento sui nostri titoli di stato (se nessuno li vuole comprare, occorre offrire una remunerazione maggiore) che ora sono i più alti in Europa, a poca distanza da quelli greci. E questo, a sua volta, determina una serie di conseguenze negative: 3,4 miliardi di maggiore spesa per interessi nel 2019, maggiore difficoltà nell’accesso al credito per imprese e famiglie, svalutazione dell’investimento in titoli di Stato fatto dalle nostre famiglie, bilanci delle banche più appesantite e persino bollette più care (in molti settori, infatti, la remunerazione del capitale investito dai gestori dei servizi a rete è indicizzato al rendimento dei Btp). E contemporaneamente, comincia a crollare la fiducia di consumatori e imprese, e il Pil inizia a rallentare sensibilmente.

Salvini e Di Maio quindi si trovano in una situazione molto delicata: o tengono fede alle fantasiose promesse elettorali (e portano l’Italia al default), o ammettono che hanno raccontato un sacco di balle agli italiani (e perdono il consenso). Per questo, hanno un disperato bisogno di distrarre gli italiani (con gli immigrati, i vaccini, la legittima difesa, ecc), individuare un nemico immaginario contro cui aizzare la folla (la UE, i mercati, la BCE, Soros) e cercare di recuperare consenso con quello che gli riesce meglio (gli slogan e le chiacchiere).

Questa è la realtà dei fatti. Se e come questa strategia riuscirà a ingannare gli italiani, lo vedremo prossimamente. E se chiunque sia convinto che l’Italia meriti di meglio riuscirà a strutturare un’offerta politica seria, nuova e credibile che capisca che i suoi gruppi dirigenti devono cooperare e non competere, pure questo lo vedremo presto. Almeno lo speriamo.

 

 

Articolo già pubblicato su Democratica il 30 agosto 2018

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