di Alfonso Pascale
Renzi ha cacciato Salvini e questo successo fa parte innegabilmente del suo curriculum. Ma il prezzo di questa abile mossa del cavallo è salato perché ha dato centralità alla demagogia pentastellata-postcomunista e ai tratti illiberali della concezione della democrazia ispirata da Casaleggio. Senza un’iniziativa politica adeguata difficilmente ci libereremo di questa condizione.
La scommessa di un leader in uno spazio nuovo
Ora Renzi abbandona il PD per dar vita ad un nuovo partito. L’evento non suscita grandi emozioni perché non si tratta né delle classiche scissioni che si sono verificate più volte nella sinistra, né della costituente di una forza politica che mette insieme ben individuate storie e culture diverse.
È la scommessa di un leader solitario che intravede lo spazio di un’offerta politica capace di accattivare una parte significativa di opinione pubblica insoddisfatta dai due blocchi che si vanno consolidando, quello sovranista (Salvini-Meloni) e quello che si sta costruendo tra il PD, liberatosi dal renzismo e tornato alla fase antecedente alla sua nascita, e il M5S di Casaleggio con la sua capacità impressionante di adattarsi a qualsiasi situazione, pur di conservare una propria centralità.
Lo spazio c’è, come ha scritto Luigi Marattin sul “Foglio”. Ed io concordo con lui sull’assenza di un partito che intende accompagnare il cambiamento senza abbandonare nessuno. Per valutare la visione di futuro del nuovo partito e la consistenza delle forze che seguiranno Renzi, bisognerà attendere la Leopolda. Staremo a vedere per esprimere un giudizio.
Il PD era già morto per la rinuncia alla vocazione maggioritaria
Non è Renzi con la sua iniziativa ad uccidere il PD. Il progetto originario del PD è morto quando hanno vinto una linea e una leadership fondati sulla rinuncia alla vocazione maggioritaria. Questo requisito (partito a vocazione maggioritaria) non è un obiettivo che si possa riconquistare con la lotta politica interna, ma è il collante per poter stare insieme nella stessa casa. La vocazione maggioritaria è la condizione per mettere in discussione criticamente le culture politiche originarie e creare una nuova cultura politica. Altrimenti continueranno ad esistere gruppi identitari di separati in casa (postcomunisti e postdemocristiani) che si coalizzano solo per governare.
Bisogna prendere atto che un senso comune di intendere il partito nel PD non c’è più da un bel po’. Potrà un giorno rinvenire in altri luoghi tra persone e gruppi di culture politiche diverse disposte a questa duplice operazione: fare i conti fino in fondo con la propria storia e la propria tradizione e costruire davvero un nuovo pensiero riformista. Renzi pensa a questo? Lo vedremo.
In gioco è la democrazia liberale
Sia il blocco sovranista (a trazione Salvini) che quello costituendo (populismo dolce a trazione Casaleggio) presentano entrambi preoccupanti elementi di illiberalità. E anche la nuova fase che si è aperta nell’Unione Europea, con la nomina della presidente della Commissione von der Leyen, sta mostrando punti critici che andrebbero analizzati a fondo.
La vicenda agghiacciante della denominazione “Protezione dello stile di vita europeo” di uno dei “portafogli” assegnati ai candidati commissari, non è stata chiarita bene dalla presidente. La quale, in un articolo su «Lena, Leading European Newspaper Alliance», la partnership di otto giornali europei, non ha preso alcun impegno a rivedere le terminologie equivoche e a delineare politiche mirate, puntuali ed efficaci sui molteplici aspetti e problemi dell’Unione e dei suoi Stati membri.
Sulla «immigrazione», ad esempio, c’è una opzione, semplice e velocissima, da mettere in campo: assumere il testo di riforma del regolamento di Dublino che il passato Parlamento era riuscito ad approvare; ripartire da lì – sia la Commissione nella sua proposta, sia il Parlamento nella sua agenda – per mettere il Consiglio dei ministri (cioè i Governi degli Stati membri) di fronte alle loro responsabilità. Altrimenti per che cosa si è votato il 26 maggio scorso?
Se non si mette al centro della governance dell’UE il Parlamento e non si apre il “semestre costituente” per riformare il Trattato difficilmente si potrà fermare il processo di scivolamento delle istituzioni europee dalla democrazia alla democratura.
Un sistema di valori fondato sull’alterità
La democrazia liberale non è solo un sistema di istituzioni. È anche – come ci ha recentemente ricordato Giovanni Cominelli – un sistema di valori fondato sull’idea che l’identità si riconosce nell’alterità, che l’individuo è attraversato dalla voce dell’altro. Il termine “persona” deriva da “per-sonare”, che significa “suonare attraverso”.
La crisi della democrazia liberale dipende sicuramente dal fatto che non c’è un pensiero nuovo sulla democrazia oltre lo Stato. Ma ciò che ha scardinato l’idea stessa di democrazia è la rimozione della relazionalità e della socialità come pratica del nostro vivere quotidiano. È lo spazio offerto all’odio, all’aggressività verbale, alla maleducazione senza freni, all’incompetenza esibita.
Uno degli esiti negativi della globalizzazione è la logica corrosiva della divisione, è il rancore che impedisce il dialogo e la comprensione reciproca, è la paura che chiude in difesa del presente, con una visione del futuro comune che diventa così sempre più buia.
Non basta, dunque, assumere un impegno generico a tornare a un “linguaggio consono”. Ci vuole un lavoro di lunga lena per riprendere a costruire e praticare comunità di relazione e ambienti educativi coerenti. Dobbiamo, tuttavia, essere convinti che quest’opera ha un senso di portata storica: difendere e rivitalizzare la democrazia liberale.
Italia Viva e il rapporto con i comitati
Ho visto che Renzi sta invitando i “comitati di azione civile” lanciati l’anno scorso a seguirlo per costruire il suo partito. Credo che sia un errore strumentalizzarli per portare in porto la sua operazione politica.
Come ha osservato il politologo Alessandro Campi, il civismo inteso strumentalmente è l’altra faccia della crisi dei partiti. E non risolve i problemi della politica. I comitati dovrebbero continuare a svolgere la funzione per cui sono nati: gridare nel deserto quello che bisogna fare, studiando problemi e diffondendo idee, e anticipare e sperimentare nuove forme di partecipazione politica, rimanendo un passo indietro dalla competizione dei partiti.
La “casa” di Renzi, per quanto innovativa potrà essere, sarà comunque un partito che presenterà una propria lista alle prossime elezioni politiche. Serve, dunque, anche ad esso una diffusa presenza di civismo, distinto e autonomo dai partiti, che educhi gli individui alla cittadinanza e ai valori della democrazia liberale. La “casa” di Renzi dia, invece, stabilità alla piattaforma programmatica della Leopolda, la implementi con le tecnologie digitali per renderla efficiente, e continui a formare e selezionare giovani da candidare alle elezioni, per farne politici professionisti capaci e competenti.
Presidente del CeSLAM (Centro Sviluppo Locale in Ambiti Metropolitani). Dopo una lunga esperienza di direzione nelle organizzazioni di rappresentanza dell’agricoltura, nel 2005 ha promosso l’associazione “Rete Fattorie Sociali” di cui è stato presidente fino al 2011. Docente del Master in Agricoltura Sociale presso l’Università di Roma Tor Vergata, si occupa di sviluppo locale e innovazione sociale. Collabora con istituzioni di ricerca socioeconomica e di formazione e con riviste specializzate. Ultima pubblicazione: CYBER PROPAGANDA. Ovvero la promozione nell’era dei social (Edizioni Olio Officina, 2019).