di Augusto Barbera
La “Lettera alla Costituzione” dell’Arcivescovo Matteo Zuppi interpella tutti noi, a prescindere da appartenenze politiche e religiose.
La Costituzione italiana è frutto di una intesa di altissimo profilo. Non fu impresa facile; sebbene accomunati dalla Resistenza, radicalmente diverse erano le posizioni iniziali. Parte della cultura liberale risentiva ancora di una matrice elitaria e non era attenta alle nuove esigenze sociali emerse sin dal New Deal americano. Parte della sinistra era ancora affascinata dal mito della Rivoluzione russa e vedeva nel progetto costituzionale un passaggio verso una società “altra”. Ma anche parte della cultura cattolica non era ancora riuscita a sottrarsi a suggestioni neo-corporativiste (o, addirittura, in qualche frangia, tentata dal modello confessionale spagnolo) ed era comunque attenta ad evitare istituzioni di governo “decisioniste” che potessero alterare gli equilibri necessari per mantenere la (allora indispensabile e non più riproponibile) unità partitica dei cattolici.
Il compromesso raggiunto e le successive vicende della storia hanno progressivamente depurato tutte le aree politico-culturali da queste scorie del passato consentendo alla Costituzione di radicarsi come base di una comune cittadinanza, come preziosa “carta dei valori” e non solo come semplice “carta dei diritti”. Precisazione importante perché le libertà costituzionali – come sottolinea efficacemente la Lettera – non si esauriscono in libertà “da” ma assurgono anche a libertà “per”; per il pieno sviluppo della “persona” e per il pieno adempimento dei doveri di “fratellanza” (che appartengono al messaggio cristiano ma non sono estranei al costituzionalismo europeo, accanto a “libertà ed eguaglianza“ , dalla rivoluzione francese in poi) .
Principi attuati ed altri ancora da attuare (diritto al lavoro, alla salute , allo studio, alla parità di genere, all’assistenza sociale, all’abitazione ed altri ancora); tutti così incisivamente e suggestivamente richiamati nella lettera dell’Arcivescovo. Ma essi, se non si aggiornano gli strumenti che ne assicurino un impatto effettivo, rischiano di sembrare richiami retorici. Lo dico in breve: il secondo comma dell’art.3 della Costituzione – quello che Calamandrei definiva “la rivoluzione promessa”- impegna la Repubblica “a rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale che limitano di fatto la libertà e l’eguaglianza dei cittadini”.
Sono le nostre istituzioni in grado di assolvere a questo compito? O esse, a prescindere da chi momentaneamente le governa, mostrano una angosciosa debolezza?
La Lettera resta sul piano dei princìpi e non tenta una risposta. Una risposta che non spettava all’Arcivescovo individuare e che non spetta neanche a me, Giudice costituzionale, chiamato a doveri di riserbo e di imparzialità. È, infatti, terreno proprio delle forze politiche; ma non posso non richiamare le debolezze della seconda parte del testo costituzionale e i tentativi di riforma che si sono succeduti, fin qui senza successo, dagli anni Ottanta in poi.
Raggiunta faticosamente, ma felicemente, l’intesa che ha portato ai principi illustrati, rimase nei Costituenti una diffidenza reciproca: come ebbe a dire Pietro Scoppola: “Ciascuna forza politica temeva il successo elettorale dell’altra” e alcune pagine della seconda parte della Costituzione ne rimasero segnate. Da qui, rispetto alle altre democrazie europee, il moltiplicarsi dei poteri di veto (bicameralismo ripetitivo, paralizzante sovrapporsi di giurisdizioni, confuso sovrapporsi di poteri centrali e locali, mancata stabilizzazione dei governi) e la conseguente debolezza delle istituzioni politiche.
Raccolgo quindi le righe del discorso di Dossetti (uno dei Padri nobili della Costituzione e che, al di là di una certa vulgata, non era affetto da conservatorismo istituzionale) riportate nella lettera dell’Arcivescovo. La Costituzione “con le revisioni possibili ed opportune, può garantirvi effettivamente tutti i diritti e tutte le libertà a cui potete ragionevolmente aspirare; vi sarà presidio sicuro, nel vostro futuro” (corsivo del sottoscritto).
Pubblicato su Avvenire 07.02.2021
Il testo della lettera del Card. Matteo Zuppi https://bit.ly/39WKFeY
È un giurista, accademico e politico italiano, professore emerito di diritto costituzionale nell’Università di Bologna. È stato Ministro per i rapporti con il Parlamento nel Governo Ciampi. Dal 21 dicembre 2015 è giudice della Corte costituzionale.