di Giorgio Armillei
Anche le crisi di governo della prima repubblica – extraparlamentari, parlamentari, parlamentarizzate che fossero – avevano convulsioni e improvvisi giri di valzer. Trappole e sgambetti erano all’ordine del giorno ma ciò che oscillava e cambiava direzione era la tattica, al contrario della strategia che nei diversi cicli della storia repubblicana restava ben salda.
Strategie instabili nella crisi
Nella crisi di questi giorni ciò che si può dire sicuramente instabile è viceversa proprio la strategia. Più o meno di tutte le parti in causa.
Salvini chiama le elezioni come se fosse il premier di un premierato forte. Ma lui non è il premier e non abbiamo un premierato forte. Evidente che sbaglia strategia.
Zingaretti si accoda, come se fosse il capo dell’opposizione che pensa di speculare su un errore dell’avversario. Evidente che sbaglia strategia. E infatti poco dopo cambia idea.
Il partito popolare europeo costruisce una maggioranza liberale antisovranista con Macron e pezzi del PSE ma in Italia FI e Berlusconi si accodano a Salvini, come se Merkel andasse dietro a AfD.
Renzi sembra lanciare un governo di scopo e una maggioranza che servano a neutralizzare gli errori di finanza pubblica del governo Conte per poi tornare al voto. Poi però si accoda all’idea di un governo Fico-Bettini con Veltroni e Letta in pole position, un governo che duri tutta la legislatura per fare non si capisce bene cosa ma certamente per avere una maggioranza in vista dell’elezione nel 2022 del nuovo Presidente della Repubblica.
Il M5s dice tutto e il contrario di tutto purché serva a garantirgli una scialuppa di salvataggio che eviti il voto ravvicinato, il dimezzamento dei parlamentari e la probabile scomparsa politica.
Il disegno di Mattarella
Da questa confusione si distacca Mattarella che certamente ha un suo disegno per il quale, discretamente e senza clamori, come si conviene a un Presidente della Repubblica e Capo dello Stato in un sistema iperlamentarizzato e proporzionalistico – quello che ci ha consegnato il no al referendum del 4 dicembre 2016 – opera alacremente. Ed è probabile che questo disegno, indipendentemente dai dettagli, si fondi sull’idea strategica – almeno Mattarella ne dispone – di contenere gli eccessi antisistema di Salvini.
A tutti i costi? Forse sì, a tutti i costi. Incluso quello di avere come azionista di maggioranza di un nuovo governo il M5s, antisistema quanto Salvini? Forse sì, in fondo M5s resta il primo gruppo parlamentare, così hanno sentenziato le elezioni del 2018. Quando è utile i voti si pesano, quando è utile si contano. È la bellezza del parlamentarismo.
Un governo di scopo o un patto di legislatura? Facciamo chiarezza
Ora proviamo a fare un po’ di chiarezza, per quanto possibile.
Un conto lanciare la proposta di un governo e di una maggioranza di scopo che – prendendo atto del fallimento del governo nazionalpopulista di Conte, Di Maio e Salvini – si ritrovino intorno a un programma minimo di neutralizzazione finanziaria (finanza pubblica) e istituzionale (riduzione numero parlamentari, con qualche correttivo? con una nuova legge elettorale?) per poi tornare al voto, al massimo nell’estate del 2020. Un governo di chiara legittimazione quirinalizia che non esclude l’apporto di nessuno dei gruppi parlamentari ma certamente, senza prendersi di petto il voto del 4 marzo 2018, mette un punto e a capo rispetto all’esperienza nazionalpopulista.
Un conto la proposta di un governo di legislatura M5s, PD, LeU che aggrega populisti, sinistra riformista e vecchia sinistra per fare non si capisce bene cosa.
Tornare al REI abolendo il reddito di cittadinanza? Sviluppare il jobs act abolendo il decreto dignità? Abolire quota 100 tornando a un sistema pensionistico sostenibile? Ripristinare la legalità costituzionale sulla durata dei processi penali e la prescrizione? Restringere l’uso delle intercettazioni telefoniche e ridurne gli strumenti più odiosamente invasivi della libertà personale? Separare le carriere di giudici e PM istituendo distinti CSM? Ripristinare e allargare l’alternanza scuola lavoro? Fare la TAV e le centinaia di chilometri di altre fondamentai infrastrutture? Chiamare ArcelorMittal e scusarsi per la cattiva figura del governo italiano? Privatizzare Alitalia? Scrivere alle autorità indipendenti di settore per ringraziarle del loro ruolo di prevenzione e risoluzione delle crisi delle banche italiane, in attuazione della direttiva BRRD dell’Unione europea? Riprendere la via di Bruxelles e abbandonare la Via della Seta?
E si potrebbe continuare a lungo.
Il modello von der Leyen
La prima proposta si muove nel solco dell’europeizzazione della politica nazionale, segue come può il modello von der Leyen: il polo liberaldemocratico si contrappone al polo populista. Può darsi che generi una maggioranza arcobaleno ma la direzione di fondo sarebbe quella.
La seconda proposta non fa altro che risuscitare l’idea, saggiamente scartata un anno fa, di una maggioranza M5s – PD. In questo caso avrebbe sicuramente ragione Elisabetta Gualmini che ha parlato in questi giorni di una logica neotrasformista.
E nonostante oggi nei sondaggi d’opinione il M5s sia ben dietro il PD, nonostante non si possa escludere un dinamismo un po’ corsaro di qualche parlamentare FI non disposto a morire salviniano, resta che in Parlamento i rapporti di forza sono pari a 2 a 1. E dunque senza una sponda in Forza Italia si aprirebbe una stagione di grandi sofferenze per il polo liberale del PD (nuovi gruppi si possono fare solo alla Camera) con buona pace di Renzi e dei suoi che non si capisce come potrebbero creare uno spazio politico distinto dal PD di Zingaretti, Letta, Gentiloni e Veltroni dovendo allo stesso tempo governare con il M5s, primo alleato di Zingaretti, Letta, Gentiloni e Veltroni.
I rischi del bipolarismo populista
Avremmo così con in un sol colpo due effetti perversi.
Uno scenario in controtendenza rispetto a quello dell’Unione nel quale, da Macron a Merkel l’asse del gioco politico vede contrapposti liberali e populisti, con il M5s ultima ruota di scorta, neutralizzabile in ogni momento.
E l’affermarsi del più subdolo dei bipolarismi, quello tra il populismo di Salvini, con Berlusconi ruota di scorta, e il populismo del M5s, con il PD di Zingaretti costretto a negoziare. Una specie di pensiero unico populista. Un po’ come il bipolarismo tra Boris Johnson e Jeremy Corbyn o come quello tra Sanders, lo Squad e Trump. Bipolarismi nei quali i due poli in verità hanno moltissimo in comune, a cominciare dall’elettorato volatile e fluttuante.
Funzionario del Comune di Terni. Già assessore alla Cultura a Terni, è stato collaboratore a contratto del Censis e della cattedra di scienza della politica, Facoltà di scienze politiche della LUISS.