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La cuoca di Lenin e il governo del cambiamento

Luigi Covatta sabato 26 Maggio 2018
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di Luigi Covatta

 

 

Nel 1982 dovevamo scegliere uno slogan per la Conferenza programmatica del Psi che si sarebbe tenuta a Rimini.

Io, forse anche per arruffianarmi Craxi con la sua passione per le vecchie barbe del riformismo milanese, avevo proposto il turatiano “Rifare l’Italia”. Lui lo bocciò, e scelse “Governare il cambiamento”: perchè, mi spiegò, il cambiamento ormai procedeva autonomamente, e la politica poteva solo sperare di governarlo.

La stessa cosa, da un’altra cattedra, ci spiegò Bobbio tre anni dopo, revocando in dubbio l’identificazione fra riformismo e progresso che pure aveva avuto un fondamento nei primi decenni del Novecento.

Adesso leggo che si sta formando il “Governo del Cambiamento” e mi trovo un po’ spiazzato. L’impressione, nella migliore delle ipotesi, è che si tratti del cambiamento del governo. Altrimenti c’è da temere che i 5 stelle pensino davvero che la politica possa ancora determinare il cambiamento, come a cavallo fra Ottocento e Novecento.

Strano destino, per una forza nata all’insegna dell’antipolitica. Destino pericoloso per noi, però, se un secolo dopo la rivoluzione d’ottobre saremo ancora cavie di esperimenti di ingegneria sociale. E pazienza se Lenin diceva che anche una cuoca avrebbe potuto governare lo Stato comunista: al Cremlino, di fatto, le cuoche non uscirono mai dalle cucine.

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