di Salvatore Bonfiglio
Il termine di populismo è ormai logorato dall’uso e dall’abuso. Spesso sta indicare movimenti che hanno genesi e natura diverse. Per questa ragione è più corretto parlare al plurale di populismi. Tuttavia, i populismi hanno una caratteristica che li accomuna tutti: essi costituiscono un’antitesi della democrazia.
In particolare, i populismi contestano la rappresentanza politica e i partiti politici attraverso i quali i cittadini partecipano alla determinazione della politica nazionale (art. 49 Cost. it). Ciò ha portato in passato all’affermazione di regimi autoritari caratterizzati da un unico partito o movimento.
I movimenti populisti hanno sempre un capo-demagogo inteso come incarnazione del popolo. Questi movimenti sono presenti e forti in molte democrazie europee, per questa ragione il prossimo appuntamento elettorale del 26 maggio per l’elezione del Parlamento europeo è molto importante.
I populismi italiani hanno radici profonde
In Italia le forze politiche di governo hanno caratteri di stampo chiaramente populista, pur avendo base elettorale e connotazioni organizzative diverse. Ad esempio, nonostante le forti ambiguità sull’euro del M5S, la maggior parte del suo elettorato è decisamente favorevole alla moneta unica.
Ma perché in Italia sono prevalsi i populismi? Sicuramente la crisi economica in Occidente del 2008 e le sue conseguenze hanno avuto un forte impatto sociale.
Il “declino” economico e quello politico-istituzionale hanno comunque radici più profonde. Negli anni ‘70 del secolo scorso, dopo la fase politica della solidarietà nazionale, fallisce il tentativo dei due maggiori partiti “di preparare una competizione alla pari per l’alternanza” e fallisce anche il “tentativo di tipo mitterrandiano per dotare l’intera sinistra di capacità competitiva” (Elia). Questo blocco sistemico accentua la crisi del sistema partitico che si dimostra assolutamente inidoneo ad assumere una iniziativa autoriformatrice.
La democrazia bloccata e il mancato risanamento
La democrazia bloccata diviene così un “moltiplicatore” di crisi sistemica con conseguenze molto negative già nei primi anni ’80. Nel 1982 l’inflazione viaggia intorno al 17% e il debito pubblico, che nel 1980 era appena sotto il 60%, inizia a volare, arrivando in pochi anni al 100% e, poi, ancora oltre, così da determinare l’espulsione nel 1992 della lira dal Sistema monetario europeo (SME).
Nei primi anni ’90, la critica della Commissione europea alla politica italiana di aver abbandonato la linea di risanamento delle finanze pubbliche rende molto difficile il cammino italiano verso l’ingresso nella moneta unica; ingresso che si sarebbe comunque potuto realizzare grazie alle iniziative e alla credibilità del I Governo Prodi.
La moneta unica è stata un’ancora di salvataggio per evitare la spirale dell’inflazione e della svalutazione in un paese come l’Italia che importa carburanti e materie prime utili alla sua economia di trasformazione. Le economie avanzate ormai da tempo non puntano più sulla svalutazione, in quanto competono sulla qualità e la produttività, non sul prezzo. Il Giappone ha provato anche di recente a svalutare la propria moneta per risollevare le esportazioni, ma dopo un inizio positivo presto l’effetto è svanito.
Ora, è opportuno ricordare che nel corso dell’ultima campagna elettorale per elezioni politiche in Italia, i partiti politici ora al governo hanno duramente attaccato l’euro, la BCE e le istituzioni europee, causando un forte e pericoloso isolamento del nostro Paese, come ai tempi dell’espulsione della lira dal Sistema monetario europeo (SME).
Ma la Brexit ha raffreddato gli animi degli euroscettici…
Nell’ultimo anno però sono cambiate molte cose. Tra queste va ricordato il rallentamento della crescita del PIL in molti paesi dell’UE (prevista nel 2019 al 1,9%) e, in particolare, in Italia (soltanto allo 0,2%), dove cresce anche il debito pubblico (a febbraio 2019 ha raggiunto i 2.364 miliardi di euro, il precedente massimo del debito risaliva a novembre 2018, oltre 2.345 miliardi di euro). Questo rallentamento nel 2020 potrebbe essere maggiore nel caso di una Brexit senza accordo.
Il caos della Brexit ha ottenuto, suo malgrado, un grande risultato: raffreddare gli animi degli euroscettici. Oggi nessuno più parla di uscire dalla Unione europea o propone un referendum sull’euro. Tuttavia, pesa come un macigno sulle spalle dell’economia e delle istituzioni politiche italiane la scarsa credibilità del Governo e, in particolare, di alcuni suoi esponenti quasi sempre assenti ai vertici europei.
Professore di Diritto pubblico comparato e diritti fondamentali all’Università di Roma Tre, Facoltà di Scienze Politiche. Direttore del Laboratorio Multimedia di Diritto comparato, Dipartimento di Studi Internazionali (Università Roma Tre). Direttore della rivista “Democrazia e sicurezza”. Componente del Comitato scientifico di Libertà Eguale.