di Giuseppe De Lucia Lumeno
Battuta d’arresto in Europa per la definizione del concetto di finanza etica
La crisi economica e finanziaria nel settore bancario è costata agli Stati europei oltre 650 miliardi di euro. Denaro pubblico utilizzato per salvare tante banche che avevano spostato il baricentro della propria attività su finanza e derivati.
L’importanza del credito popolare per l’economia reale
Al contrario, il credito popolare e, tra questo, le banche etiche e sostenibili, non hanno avuto bisogno di interventi del genere. E’ quanto emerge dai dati del secondo Rapporto sulla finanza etica e sostenibile in Europa pubblicato di recente dalla Fondazione Finanza Etica. Eppure, non basta.
Sembra, infatti, che questi dati positivi non siano sufficienti a rende evidente quanto sia importante, per la ripresa dell’economia reale, sostenere, valorizzandone la peculiarità, questa forma di credito, più di quanto sia stato fatto fino ad oggi. O, almeno, sembra non lo sia per Parlamento e Commissione europea.
Il rispetto dei requisiti sociali
Nei giorni scorsi, infatti, nelle Commissioni parlamentari competenti sono stati bocciati gli emendamenti che tendevano a far rientrare anche gli impatti sociali nella definizione delle attività economiche sostenibili. Emendamenti che volevano includere il rispetto di determinati requisiti sociali, in particolare la tutela dei diritti umani, tra i fattori indispensabili affinché una determinata realtà imprenditoriale possa essere definita “sostenibile”. Eppure, soltanto un anno fa, uno specifico Rapporto della Task Force Europea, aveva stimato un gap europeo di 100-150 miliardi di euro per gli investimenti annuali in infrastrutture sociali (ospedali, scuole, edilizia pubblica e popolare).
L’effetto di questo passo indietro – da circa due anni, si stava, infatti lavorando per inserire i requisiti sociali, oltre a quelli ambientali, nel concetto di sostenibilità – preoccupa non poco. Ora tutto potrà essere definito “finanza sostenibile”, anche quelle attività di finanza speculativa e in violazioni dei diritti umani che di sostenibile hanno ben poco. Il significato stesso di sostenibilità e di finanza sostenibile vengono notevolmente indeboliti e la definizione ne esce fortemente svuotata.
La sostenibilità non è solo ambientale
La sostenibilità non può essere declinata nella sola dimensione ambientale. Ne era consapevole l’Organizzazione delle Nazioni Unite che, già nel 2005 – quindi due anni prima della crisi – aveva fatto propri e promosso i sei principi – i PRI, principles for responsible investment – che impegnavano a introdurre le tematiche dell’ESG – environmental, social and governance – nelle analisi e nei processi di investimento, nelle politiche e pratiche aziendali, nel ricercare trasparenza, nel promuovere la responsabilità sociale nell’industria, nel cooperare, non scegliendo l’ambito ambientale a discapito di quello sociale.
Oggi, poi, la consapevolezza delle questioni di sostenibilità è sempre più diffusa tra consumatori e famiglie che esprimono una domanda di prodotti e processi produttivi sostenibili e intendendo, per sostenibilità, non soltanto scelte di carattere ambientale.
Una sensibilità che vale in ogni settore del consumo e della produzione e, ancor di più, per ciò che attiene la delicata gestione del risparmio e del credito.
Riconoscere la diversità della cooperazione
Le stesse iniziative che si sono tenute nei giorni scorsi in tutto il mondo per manifestare preoccupazione e chiedere scelte radicali sul contrasto dei cambiamenti climatici svelano questa consapevolezza.
Del resto, l’insieme dei principi della sostenibilità è, oggi, la chiave di volta per affrontare il futuro dell’economia reale. Al movimento della cooperazione – e in esso, credito popolare e finanza etica – che basa l’attività di intermediazione del credito sul legame con il territorio, con le comunità locali, con l’economia reale, finanziando soprattutto Piccole e Medie Imprese secondo criteri sociali e ambientali e coinvolgendo i propri soci nelle decisioni strategiche, va riconosciuta tale diversità anche a livello normativo europeo. Una diversità in funzione e a servizio, prima di tutto, della ripresa economica, dello sviluppo e anche della tutela ambientale. L’economia reale ha già pagato un prezzo altissimo.